Se ben ricordate, lo scorso anno scrissi una serie di tre post sulla figura del terribile Bernabò Visconti, che vertevano sui seguenti argomenti: il monumento funebre e la biografiai luoghi prediletti da messere, Il Diavolo nella Torre, ovvero il mio copione teatrale. Con mia grande sorpresa, i post erano stati un vero successo, forse a causa di messer Visconti che ha tutte le carte in regola per risultare interessante. Mi ero dunque ripromessa di riprendere la serie quando fosse arrivato il momento opportuno.

Stavo dormendo sugli allori, complice la bella stagione primaverile, quand’ecco che mi è arrivato all’orecchio un vero e proprio ruggito. Era Bernabò in persona, che, dopo essersi manifestato tra fuoco e fiamme, lampi e tuoni, mi ricordava con la consueta delicatezza che avrei dovuto porre mano alla seconda serie di articoli per soddisfare curiosità che altrimenti sarebbero rimaste senza risposta… e anche perché si sta avvicinando un certo evento con passo felpato ma inesorabile. Mi sono affrettata dunque alla scrivania, ho intinto la penna nel calamaio e mi sono messa subito all’opera su un primo articolo che avrebbe dovuto riguardare le donne amate da Bernabò. Ho subito capito, tuttavia, che un titolo come Bernabò Visconti e le sue donne sarebbe stato inadeguato; o, peggio, che avrebbe provocato le ire dell’attore principale… la parola “attore” non è scelta a caso.

Per chi non lo ricordasse, infatti, Bernabò Visconti amava le donne.

Le amava in maniera smisurata e appassionata, e tutte quante, da quelle nobili a quelle del popolo. Amava la moglie Beatrice Regina della Scala, la favorita Donnina de’ Porri e la schiera delle sue amanti. Voleva bene alle figlie avute da loro, cui fece fare ottimi matrimoni e cui destinò cospicue doti. Nessuno, nemmeno il suo peggior nemico, avrebbe potuto negare che il Diavolo si mostrasse munifico e generoso con tutte, colmandole di regali e attenzioni. Le teneva presso di sé anche dopo che la relazione era finita, al punto da costituire nel suo palazzo un vero e proprio harem secondo le parole di un cronista dell’epoca. Negli annali milanesi gli sono attribuiti trentasei figli avuti dalla consorte e da altre amanti sparse per ogni dove. Aveva così tanti figli che un detto popolare dell’epoca recitava: “De chi e de là del Po tôt fioi del Bernabò”. Al contempo, però, le sue donne dovevano rigare dritto, come le vicende hanno dimostrato.

Vediamo dunque alcune di queste figure femminili che allietarono e movimentarono la sua esistenza. La più importante di tutte è, senza alcuna ombra di dubbio, la legittima consorte.

Beatrice Regina della Scala

I tre fratelli Visconti (Galeazzo, Matteo e Bernabò), in seguito all’esilio comminato dallo zio Luchino avevano vagato per l’Europa di corte in corte, giungendo persino nelle Fiandre. Alla morte di Luchino nel 1349, tuttavia, l’arcivescovo Giovanni, altro loro zio, li richiamò a Milano. Oltre a spartire molto opportunamente i territori tra i tre giovani, tutti dell’età di trent’anni circa, provvide anche a stipulare ottimi contratti matrimoniali per ognuno di loro, e dimostrandosi un avveduto sensale. Infatti il nipote Bernabò, tenace nell’odio, implacabile nella vendetta, aveva grandi doti, ma non riusciva a evitare eccessi e attacchi di collera che lo mandavano su tutte le furie. Suscitava timore per l’ira e l’imprevedibilità, e al contempo attrazione per la sua esuberanza, la sua generosità e i divertimenti chiassosi. Occorreva dunque una donna dal carattere insieme fermo e accomodante.

Ed è qui che entra in campo Beatrice Regina, ovvero la primogenita di Mastino II della Scala, signore di Verona, Vicenza, Padova, Parma, Brescia e Lucca, e di Taddea di Carrara. La potete vedere qui, nell’affresco di Santa Maria Novella a Firenze, accanto al marito. Lei tiene in grembo un cagnolino, lui regge sul braccio un falco e ha un curioso copricapo. Bernabò ha i capelli biondicci, mentre pare avesse occhi e barba nerissimi, essendo figlio di una Doria. Lei è pure bionda e ha gli zigomi alti secondo i canoni di bellezza dell’epoca, per cui può essere che fossero ritratti idealizzati.
Nonostante il matrimonio fosse combinato, i due si piacquero immediatamente. Il 27 settembre 1350 si sposarono e andarono a vivere nel palazzo di San Giovanni in Conca. Beatrice Regina era stata allevata per essere una donna in grado di muoversi in ambienti di alto lignaggio, e anche un’attenta amministratrice. Con grande avvedutezza, seppe sfruttare i lati deboli di lui per farsi concedere terre e diritti commerciali, e accumulando ricchezze capaci di procurarle un potere autonomo. Beatrice Regina fu anche una benefattrice di Milano, e fu fondatrice della chiesa di Santa Maria alla Scala, oggi non più esistente in quanto demolita nel XVIII secolo per far spazio all’omonimo teatro, che prese appunto  il nome dalla chiesa.

Anche il castello di Pandino reca tracce del legame affettivo e di reciproca stima esistente tra marito e moglie. Venne fatto erigere dalla coppia intorno al 1355-1370 come residenza di campagna per la caccia, grande passione di Bernabò. Al momento della realizzazione venne completamente affrescato, persino nella zona delle stalle, ora utilizzate come biblioteca comunale. La decorazione del castello era composta da svariate forme geometriche, tarsie a imitazione del marmo e da alcune figure umane, variando da vano a vano. Nelle forme geometriche vennero rappresentati gli stemmi araldici dei Visconti e dei Della Scala: bisce accostate a scale, a memoria dell’affetto e della stima di Bernabò per Beatrice Regina.


Beatrice Regina mise al mondo ben quindici figli, cinque maschi e dieci femmine, che fecero prestigiosi matrimoni con i rampolli delle maggiori casate europee. Lui ebbe per lei una fiducia illimitata, al punto da affidarle il governo della città di Reggio. Era l’unica capace di contenere gli scatti di collera del marito, da placarne le improvvise bizze come fosse stato un grosso bambino capriccioso (e pericoloso), al punto da far pensare a una sorta di rapporto madre-figlio. Celebre fu il suo intervento per sottrarre Pandolfo Malatesta al destino di essere infilzato dalla spada del marito, episodio di cui narrerò più avanti.
Morì il 18 giugno 1384 e Bernabò ne fu talmente addolorato che ordinò ai sudditi di portare, come lui, il lutto stretto in memoria della loro signora, per il tempo di un anno. Chiunque non fosse a conoscenza dell’ordinanza, e venisse colto con abiti fuori luogo, incorreva nelle furie di messere. Privo della sua miglior consigliera e guida, da quel momento in poi iniziava la sua parabola discendente, destinata a portare, appena un anno dopo, alla sua caduta, incarcerazione e morte.
Donnina de’ Porri

La più famosa favorita di Bernabò fu senz’altro Donnina de’ Porri, colei che gli fu vicina fino alla fine e colei che condivise con lui la prigionia nel castello di Trezzo sull’Adda, dove era stato rinchiuso per opera del nipote Gian Galeazzo, che l’aveva spodestato. La famiglia Porro è un casato nobile di Milano e della Lombardia, i cui membri rivestirono cariche alla corte dei Visconti. Furono feudatari sovrani della Brianza e signori di Monza, Como, Lecco e Lissone durante tutto il Medioevo. Il centro dei loro domini convergeva su Lentate sul Seveso, dove c’è uno splendido Oratorio che vi consiglio di andare a visitare (qui il link dell’associazione che se ne occupa, per orari e visite). Il casato nei secoli successivi ebbe particolare rilievo sia presso la corte imperiale austriaca, del Sacro Romano Impero, sia presso la corte napoleonica del Regno d’Italia.

La cugina del conte Stefano Porro di Brianza, Donnina, figlia del giureconsulto Leone Porro di Copreno, fu a partire dagli anni 1360 una vera, seconda consorte di Bernabò Visconti, al quale diede almeno quattro figli, che ricevettero nomi a ricordo delle chansons de geste tanto in voga, come Lancilotto. Bernabò la chiamava affettuosamente col cognome “la Porrina“. Non si conoscono ritratti di Donnina, per cui ho scelto una scena a mia discrezione di epoca un poco più tarda, che raffigura una coppia in un interno.

Nel testamento di Bernabò, redatto nel 1379, Donnina ricevette insieme al figlio Lancillotto il feudo di Pagazzano alla Ghiara d’Adda e gli usufrutti di Niguarda. L’eredità le venne contestata da Gian Galeazzo, che infatti aveva escluso dalle pretese dinastiche i figli legittimi, e quindi non voleva certo riconoscere i diritti di quelli naturali. L’eredità venne riconosciuta più tardi da Filippo Maria Visconti. Non è nemmeno chiaro se Bernabò sposò la donna dopo la morte della moglie, Beatrice Regina, con cui peraltro Donnina faceva affari come se fossero state due ottime socie.
Bernabò morì nel castello di Trezzo sull’Adda il 18 dicembre 1385, probabilmente avvelenato da un piatto di fagioli, e da quel momento anche di Donnina si perde ogni traccia. La cosa che mi ha sempre colpito di questa figura femminile fu che, al momento in cui avrebbe potuto tagliare la corda, stette vicino al suo amante e signore fino alla fine. Forse il Diavolo non era così brutto come lo si dipingeva…
Giovannola da Montebretto e Bernarda Visconti

 … o forse sì. Non dobbiamo mai dimenticare, infatti, che parliamo del Diavolo, e con lui non bisogna mai abbassare la guardia! Bernabò era spietato e imprevedibile, e aveva un senso dell’onore che portava fino all’esasperazione seminando morte e terrore ovunque andasse. La vicenda che sto per narrarvi, infatti, sarebbe una qualsiasi storia di rapporti adulterini con risvolti anche comici se non che fu conclusa dalla morte di un’infelicissima giovane, figlia naturale di Bernabò, in una delle maniere più tremende.
Giovannola, detta così probabilmente per la bassa statura, fu una delle amanti dei primi tempi. Abitava a Milano in una casa presso la Torre dei Moriggi, nella parrocchia di S. Pietro in Vigna, e da lui aveva avuto una figlia, Bernarda, nata nel 1353. Dopo la nascita della bimba, Bernabò fece traslocare madre e figlia in una casa appena fuori la Rocca di Porta Romana, dove egli svolgeva di solito mansioni amministrative. 
Nonostante godesse del pieno favore del suo signore, che la copriva di regali, Giovannola era una donna vanitosa e sciocca e e convinta di poterlo dominare. Il cronista Pietro Azario, colui che paragonava le donne del signore di Milano a un vero e proprio harem, ci racconta come andarono i fatti che fecero precipitare la donna dalle stelle alle stalle. Tra i molti doni, Bernabò le aveva regalato un bellissimo anello. Peccato che la donna avesse intrecciato una relazione con Pandolfo Malatesta, capitano generale di Galeazzo fratello di Bernabò, o forse volesse semplicemente civettare con lui. Fatto sta che la sventata donò a Pandolfo proprio l’anello di Bernabò. Forse anche Pandolfo era ignaro della provenienza, o non si sarebbe presentato al Visconti sfoggiando l’anello al dito. Riconosciuto l’anello, Bernabò montò su tutte le furie e si avventò sul malcapitato con la spada sguainata. In un istintivo gesto di difesa, il Malatesta si aggrappò al fodero finendo lungo disteso per terra. Fu la sua salvezza. Beatrice Regina accorse a placare gli animi e a convincere il marito a non accoppare l’uomo; insomma, la moglie era intervenuta per difendere l’amante dell’amante del marito dalle furie del marito stesso. Una situazione surreale. Il terzo intervento provvidenziale fu la richiesta di Galeazzo di far tornare da lui il suo capitano, cosa che lo salvò dall’arresto e dalle conseguenti rappresaglie. Giovannola venne allontanata dalla corte e cadde in disgrazia.

In quanto a Bernarda, tra l’altro fisicamente molto somigliante alla madre, venne allevata a corte insieme ad altre bambine. All’età di quattordici venne maritata al bergamasco Giovanni Suardi. La coppia era molto male assortita, tanto che, dopo poco, la giovane era ritornata a vivere a Milano presso il padre. Lì però aveva avuto una relazione adulterina con Antoniolo Zotta. Ci fu una denuncia e Bernabò fece arrestare i due amanti. Il processo si svolse nel 1375. Il reato prevedeva per Antoniolo solo una pena pecuniaria; ma, sotto tortura, confessò di tutto, anche furti che non aveva commesso, e venne impiccato. Per la giovane si prevedeva una condanna a morte; ma, non volendo esporre una Visconti all’onta di un’esecuzione capitale, il padre le riservò una sorte persino peggiore, ovvero la fece agonizzare per mesi. Dopo averla fatta torturare con docce gelide e scorticamenti, Bernarda fu murata viva nella Rocca di Porta Nuova, insieme alla cugina Andreola, una giovane badessa accusata del medesimo reato. Dopo qualche mese le due ragazze vennero separate e non ebbero nemmeno più il conforto della reciproca compagnia. Resistettero per sette mesi a pane e acqua, ridotte a scheletri. Bernarda morì il 4 ottobre 1376, e la cugina la seguì pochi giorni dopo.
Dopo la sua morte, cominciò a manifestarsi il fantasma di Bernarda dalle parti di santa Radegonda e furono avvistate delle giovani che sostenevano di essere Bernarda. Entrambe le questioni non mancarono di far andare in bestia il padre, che pensò persino che qualcuno avesse fatto fuggire la figlia. Nella sua esistenza, comunque, continuò a permanere un oscuro senso di rimorso per la crudeltà con cui aveva infierito sulla figlia. Ma lui era il Diavolo e non poteva comportarsi altrimenti.
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Fonte:
Bernabò Visconti di Daniela Pizzagalli – Rusconi

Immagini:
  • “Bernabò Visconti riconosciuto da un contadino che lo accompagnava al Castello di Marignano” di Pasquale Vianelli (1820-1821) – Circolo ufficiali di Milano
  • Bernabò Visconti e Beatrice Regina della Scala, Santa Maria Novella a Firenze
  • Stemma della casata posto sul castello di Sirmione, si noti la scala a cinque pioli e non a quattro
  • Casino di caccia Borromeo, Particolare degli affreschi, Oreno di Vimercate
  • Due amanti in una miniatura medievale