Qualche tempo fa il blogger Ariano Geta ha pubblicato una serie di post sulle città che compaiono a vario titolo nelle opere letterarie, concludendo la sua rassegna con le Città letterarie di noi bloggers scribacchiniHo lasciato un commento sul blog, ma accolgo volentieri l’invito di Ariano di scrivere un meme dove posso presentare per bene le città protagoniste di alcuni dei miei romanzi storici.

Ce ne sono parecchie, in quanto i miei personaggi sono dei veri globetrotter! Ho dovuto fare a malincuore una selezione, avendo l’intenzione di aggiungere un passaggio tratto dal romanzo. Ne ho quindi scelte tre. Una di loro, un vero scrigno di tesori d’arte e bellezza, si trova proprio in casa nostra.

Gerusalemme, 1099 – Libro I La terra del tramonto

Nel primo romanzo della mia saga, ci troviamo all’epoca della Prima Crociata. Siccome i personaggi si muovono attorno al bacino del Mediterraneo, vi si descrivono varie città, alcune in Marocco e altre in Andalusia. Nella scena che vi propongo, però, ci troviamo a Gerusalemme.  Gli eserciti cristiani sono riusciti a conquistare ai musulmani la Città Santa per eccellenza, e nell’estratto si mostra il dopo, ovvero il panorama desolato delle piazze e delle vie in cui si muovono tre cavalieri.

La conquista di Gerusalemme – 1099

Alla luce del tramonto, che spandeva caldi bagliori aranciati sulle pietre e sui muri, si coglieva lo scintillio delle spade sotto i mantelli dei tre uomini. Questo li distingueva come uomini d’arme e non come monaci nonostante avessero il cappuccio levato. E, quando il vento apriva i mantelli, si scorgeva il simbolo della croce di Cristo, composto con stoffa rossa cucita sul petto. I tre incrociarono altri guerrieri, che li salutarono con deferenza, come se riconoscessero in loro non solamente dei compagni d’armi, ma anche dei superiori.

A parte quei radi passanti, un cupo e strano silenzio avvolgeva le strade del quartiere ebraico di Gerusalemme, deserte come se la città fosse in parte disabitata, o i suoi abitanti fuggiti o morti; e in quel silenzio i passi dei tre uomini risuonavano come amplificati. Schizzi e fiotti di sangue, disseccato di recente, imbrattavano i muri delle case, e se ne scorgeva pure nelle connessure delle pietre che componevano il lastricato, o nella terra delle strade, come se quello scorso nei giorni precedenti fosse stato così abbondante da impregnare la carne stessa della città, i suoi legamenti e le sue ossa. Di là dalle arcate dei cortili, erano ammassati cadaveri coperti di mosche; nessuno aveva avuto ancora il tempo di portar fuori dalla città, per buttarli in fosse comuni oppure bruciarli. Su alcune soglie giacevano ancora corpi di persone che, colte in un ultimo disperato tentativo di fuga, erano state raggiunte, trafitte e macellate. Delle donne giacevano a gambe larghe, con sangue sulle cosce e gli occhi spalancati al cielo. Poco più in là, bambini erano stati sgozzati, altri decapitati, altri ancora sventrati.

Uno dei cavalieri si fece il segno della croce e mormorò un “Dio ci perdoni”.





Venezia, 1560 – Il pittore degli angeli


La magica città di Venezia è la dominatrice indiscussa di larga parte del romanzo Il pittore degli angeli. Si dispiega agli occhi del lettore come una città cosmopolita, dinamica e al culmine del suo fasto, al volgere di un secolo in cui anche il Rinascimento va a morire. Tutto il romanzo è ambientato nell’ambiente d’élite dei grandi pittori veneziani, il cui protagonista è lo spregiudicato Tiziano Vecellio, ormai anziano e giunto al vertice della sua carriera.

Nell’estratto il giovanissimo e misterioso pittore Lorenzo, soprannominato “il pittore degli angeli”, e appena giunto a Venezia da chissà dove, è seduto su un basso parapetto e osserva piazza San Marco.

Processione in piazza San Marco di Gentile Bellini (1496)

Dietro di lui, il campanile stendeva un’ombra alta e possente, come quella d’un buon gigante, e gli riempiva la testa col suono delle campane; davanti a lui, il tappeto a tarsie di Palazzo Ducale era una bianca e rosea meraviglia, e dalle sue finestre traforate s’affacciavano dame con cuffie ornate di perle, e patrizi vestiti di raso nero; più a sinistra, le cupole scintillanti ed irsute della Cattedrale parevano scrigni preziosi pronti a schiudersi rivelando tesori. Sotto, lungo tutto il perimetro della piazza, si snodava una fila di archi retti da colonne rivestite di damasco cremisi, e sugli archi era teso un velo di panno bianco che si muoveva, leggermente, al vento, così come s’inclinavano di poco le fiammelle dei ceri accanto alle colonne; e sotto quel velo e accanto a quei ceri s’apprestava a passare, srotolandosi come un lungo serpente dalle ricche, luminose, dorate scaglie, la processione del Corpus Domini. “È davvero come trovarsi in una città incantata,” pensava Lorenzo, ammaliato dallo splendore dei luoghi e delle genti, “una di quelle città di cui si narra nelle fiabe: ogni cosa è fonte di meraviglia e miracoli. Non v’è davvero, al mondo, una città pari a questa, e anche l’acqua e l’aria possiedono una luce specialissima, direi quasi un colore proprio.”




Parigi, 1775 – Io, Lucile


La Parigi prima e durante la Rivoluzione Francese è il luogo dove ho ambientato il romanzo che sto scrivendo. Anche in questo caso ci sono altre città minori che costellano il libro, come Arras o Guise, ma è fuor di dubbio che storicamente Parigi sia stata il centro irradiante della Rivoluzione. All’epoca, però, era molto diversa dalla metropoli che oggi conosciamo. Era una città che contava poco più di quattrocentomila abitanti ed era una vera e propria fogna a cielo aperto, tanto da essere considerata una delle città più sporche d’Europa. V’erano enormi contrasti tra palazzi sontuosi e sordide stamberghe, quartieri aristocratici e altri malfamati e miserabili. Le strade erano in pessimo stato, piene di gente di tutte le risme, e le carrozze dei nobili vi passavano a grande velocità, incuranti se investivano o storpiavano qualcuno.

Di solito non pubblico mai estratti di quello che sto scrivendo – più che altro per una sorta di scaramanzia e perché non ancora revisionati – ma stavolta contravvengo alle regole e pubblico una scena della parte iniziale. Siamo nel 1775, e quindi quattordici anni prima dello scoppio della Rivoluzione Francese. I protagonisti sono i padri oratoriani del prestigioso Collegio Louis-le-Grand e un gruppo di allievi. I sacerdoti impartiscono ai ragazzi un’istruzione severa, ma al contempo molto aperta alle nuove idee filosofiche e sociali, al punto da far divenire l’istituzione una vera e propria fabbrica di futuri rivoluzionari. Le lezioni non si svolgono soltanto nelle aule, ma, con la bella stagione, i religiosi conducono i ragazzi in passeggiate educative fuori città, alla maniera di Rousseau.

Nella scena stanno rientrando a Parigi, e l’abbé Bèrardier, direttore del Collegio, sta dando ai ragazzi una solenne lavata di testa in quanto ne hanno combinato di tutti i colori. Tra gli studenti vi sono Camille Desmoulins, futuro giornalista, e Maximilien de Robespierre che… beh, non ha bisogno di molte presentazioni.

Parigi e il Pont Neuf in un dipinto del tardo 1600, inizio 1700.

“Quando saremo al Collegio, farò i conti con quelli che, tra di voi, si sono comportati peggio di tutti. Ci saranno delle conseguenze sulla media del vostro rendimento,” minacciò. Soggiunse: “Siamo in vista delle porte di Parigi, per cui, almeno in città, fate silenzio e procedete in maniera ordinata. Siete allievi del prestigioso Collegio Louis-le-Grand, non bruti screanzati.” Si rivolse a Maximilien de Robespierre e gli disse, compiaciuto: “Tu sei stato uno dei pochi a comportarti con decoro, e quindi avrai un paio di punti in più nel prossimo compito di Greco.” “Ci avrei scommesso,” commentò tra i denti il ragazzo che aveva fatto l’imitazione della scimmia, e che in quel momento si trovava nei pressi di Camille; e un altro ancora brontolò, ma senza farsi sentire.

Si rimisero in fila per due in e procedettero lungo il sentiero che conduceva verso l’ingresso meridionale di Parigi. (…)

Oltrepassato il varco parigino, si ritrovarono nel marasma della città, composto da artigiani, soldati, mercanti, accattoni e ladri. Il terreno ridivenne un impasto di fanghiglia, liquami e sassi, e i caseggiati riassunsero il loro aspetto scrostato e miserabile. “Rimanete insieme e non allontanatevi per nessun motivo!” intervenne Hérivaux, preoccupato che i ragazzi potessero perdersi nella calca. Si spostò a metà fila per rientrare nei ranghi alcuni allievi intemperanti. “Suleau, sei così sporco che non ti si distingue dal terreno!” urlò un ragazzo, riferendosi all’aspetto malconcio dell’avventuroso compagno. Questi fece per tirargli un pugno. “Silenzio!” intimò l’abbé Bérardier, esasperato.

In una delle viuzze più sordide, il compagno di fianco a Camille, Louis Beffroy de Reigny, si mise a ridacchiare e a dargli di gomito. “Guarda un po’ là,” disse, con un cenno di capo. Un uomo con un lungo mantello, poco prima appoggiato al muro di una casa, se ne era distaccato al loro arrivo. Aperto un lembo, stava mostrando, di sotto, alcune stampe pornografiche. Camille scorse solamente una dama arrovesciata con le gonne sollevate sopra un divano, e un cavaliere con i calzoni abbassati e il membro eretto. “Appena un soldo per queste opere d’arte, giovani gentiluomini,” sussurrò il venditore. “Non abbiamo tempo di fermarci con te, o seguace di Nicolas Poussin, per ammirare le tue meraviglie. E tantomeno pousser come fa l’uomo ritratto,” replicò Louis, compito, e Camille rise di gusto al gioco di parole. Beffroy de Reigny era simpatico almeno quanto Fréron. Arrivarono comunque in prossimità della Sorbona senza imbattersi in altri personaggi degni di nota.

Ad un certo punto Camille inciampò e, abbassando gli occhi, si accorse che gli si era slacciata la fibbia di una scarpa. S’inginocchiò e, armeggiando con le dita, reinserì il cinturino. Quando si rialzò, gettò uno sguardo al marciapiede di fronte e rimase di stucco.

***

Bene, questo è tutto, mi auguro che le mie città vi siano piaciute. Anche se si tratta di descrizioni basate su testimonianze storiche, bisogna infatti metterci un pizzico d’immaginazione! 


Che ne dite, partecipate anche voi al meme di Ariano?