In occasione del mio compleanno una mia cara amica – la stessa che venne insignita dell’Ordine del Gran Sigarito per la sua fruttuosa ricerca sull’esistenza delle sigarette arrotolate nel 1789, qui il link – mi regalò il libro Una poltrona sulla Senna – Quattro secoli di storia di Francia di Amin Maalouf. Si tratta di un saggio molto gradevole scritto dopo che l’autore venne ammesso alla prestigiosa Académie française e, per la precisione, chiamato a occupare la ventinovesima poltrona.

Vi si narrano la vita e le avventure delle diciotto personalità succedutesi sulla poltrona occupata da Maloouf, tutte accomunate dal loro amore per la lingua francese. Ci fa scoprire quel che già sospettavamo, ovvero che non furono diciotto busti di marmo, ma persone in carne e ossa con i loro pregi e i loro difetti, e con delle esistenze a volte mirabolanti.

Ci sono anche degli episodi gustosi, come quello del cardinale Richelieu, autonominatosi “protettore” questo circolo di amici – che invece volevano soltanto riunirsi in santa pace per parlare di letteratura – e che consegnò a uno dei membri un suo poema in forma anonima chiedendo un parere spassionato. Il ricevente lo lesse e lo fece leggere ai colleghi, e l’opera del cardinale venne stroncata come “un’opera da breviario”. Il cardinale masticò amaro, ma poco dopo tolse l’appannaggio al membro che aveva preso in consegna il poema (sul perché spesso i potenti abbiano velleità artistico-letterarie possiamo soltanto formulare delle ipotesi).

In questa sede però vorrei parlarvi dell’uomo che viene definito da Maloouf “colui che fu due volte condannato a morte” e visse giustappunto nell’epoca della Rivoluzione. Questa è la storia di una fuga rocambolesca, e anche della straordinaria prova di un’amicizia destinata a durare nel tempo e a dare ulteriori frutti.

Il protagonista è Joseph Michaud. Nasce in Savoia nel 1767, ma la lascia durante l’infanzia insieme ai genitori; compie i suoi studi nel vecchio collegio gesuita di Bourg-en-Bresse, lavora un po’ come commesso in una libreria di Lione, mentre scrive i suoi primi testi letterari. Si trasferisce poi a Parigi, dove collabora a diversi giornali vicini alla corte di Luigi XVI. Egli è, tuttavia, un fervido ammiratore dei filosofi, innamorato della libertà e ostile a ogni forma di oppressione al punto da comporre un poema in gloria di Jean-Jacques Rousseau.

All’epoca dell’insurrezione del 13 Vendemmiaio, ovvero il 5 ottobre 1795, dopo la caduta di Robespierre e la fine del Terrore, i partigiani della monarchia chiamano il popolo a manifestazioni di massa nella speranza di forzare la Convenzione a ristabilire il potere reale. Ma l’assemblea rifiuta e dà anzi ordine di sparare sulla folla, provocando quasi trecento morti. Michaud, che nel suo giornale ha chiamato all’insurrezione, scappa da Parigi per nascondersi a Chartres presso amici, ma viene raggiunto, stanato e riportato alla capitale. Nell’attesa del processo, viene rinchiuso nel vecchio Collège des Quatre Nations, appena trasformato in un istituto penale. Ogni giorno il prigioniero viene portato alle Tuileries, dove viene interrogato sui sui scritti sediziosi e sul suo operatore come agitatore di folle. La condanna a morte è quasi certa, e inutilmente amici e conoscenti si prodigano in suo favore.

Ed ecco che entra in campo un suo amico, un certo Nicolas Giguet, che aveva frequentato il suo stesso collegio. Ha riconosciuto Joseph quando è stato riacciuffato e riportato a Parigi. Nei giorni successivi non si perde d’animo: gironzola attorno al carcere studiando la situazione e verificando da quale strada i gendarmi lo portano dalla prigione presso la sede dell’interrogatorio. Il giorno in cui decide di agire, Nicolas finge di incrociare il piccolo corteo e invita l’amico e i suoi secondini a pranzare insieme in una trattoria vicina. Dopo qualche insistenza i gendarmi, evidentemente affamati, si lasciano tentare e tutti vanno a mettere le gambe sotto il tavolo. Tra cibo, chiacchiere sui polli arrosto e buon vino, Michaud si alza e scende i gradini che lo portano alla cucina, e com’è ovvio se la batte da una porta nascosta. Una volta scoperta la fuga, Nicolas viene incarcerato al suo posto e accusato di aver organizzato il tutto. Continua a protestare la sua innocenza, rischiando grosso e scontando un mese in prigione. Alla fine viene rilasciato.

Ma la bella storia non finisce qui!

Dopo alcuni anni vissuti da clandestino tra la Svizzera e il Piemonte, e un altro ingresso e un’uscita dalle patrie galere sotto Bonaparte, Joseph decide di darsi una calmata e dedicarsi a tempo pieno alla letteratura. Pubblica quindi una prima opera sull’India. Sul frontespizio, in basso, l’indirizzo dell’editore è: Parigi, Giguet et Cie, stampatori-librari, Rue de Grenelle Saint-Honoré. Il suo salvatore era diventato il suo editore… E, due anni dopo, nel 1803, viene pubblicato Le printemps d’un proscrit, memoriale scritto durante le sue avventurose fughe. Sulla prima pagina, si poteva leggere questa volta: Parigi, Giguet et Michaud, stampatori-librai, Rue de Bons-Enfants.

Questi due uomini rimangono amici per tutta la vita.

Aggiungo solamente per amore di completezza biografica che Joseph Michaud è soprattutto celebre per l’Histoire des croisades, opera monumentale che venne pubblicata nella sua forma finale in sei volumi nel 1840 e che fu determinante per il suo ingresso all’Académie.
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Vi è piaciuta questa storia di letteratura, libertà e amicizia? Ve ne vengono in mente altre di simili?

Fonte:
Una poltrona sulla Senna – Quattro secoli di storia di Francia di Amin Maloouf – La nave di Teseo