Un esemplare di orso bruno.

Proseguiamo con la carrellata dei nostri amici bipedi e quadrupedi in letteratura, nei racconti, nel cinema e nei fumetti! Stavolta vi presento un animale che incute sia terrore sia fascino negli esseri umani:

l’orso.

In questo post vi parlerò dell’orso bruno, meglio conosciuto come grizzly americano, tralasciando l’orso polare. Infatti il materiale che ho trovato è abbondantissimo soltanto per quanto riguarda questo animale possente dalla bruna pelliccia. Si tratta di uno dei più grandi carnivori terrestri, che arriva a pesare anche più 700 kg. Nel carattere l’orso è un animale essenzialmente solitario e gli unici momenti di socializzazione con i suoi simili sono quelli passati dalla madre con i cuccioli o nell’altrettanto breve periodo dell’accoppiamento.

Ma non rubiamo altro spazio virtuale e cominciamo la nostra ricerca dell’orso partendo dal Nuovo Mondo come novelli esploratori.

Pancia d’Orso, capo indiano,
con la pelle dell’orso.
L’orso nella cultura
dei nativi americani

Il testo Riti e misteri degli Indiani d’America dell’edizione Utet offre un’ampia panoramica dei testi sacri degli indiani nordamericani per singole aree geografiche che vanno dalle zone boreali ai margini del deserto, prendendo in considerazione la miriade di tribù che al momento della conquista del continente costellava il territorio. Molta attenzione è data ai sistemi di preghiere, riti, cerimonie come la danza degli spettri, e naturalmente agli animali totemici. Particolare venerazione e rispetto suscita l’orso, e a tale proposito ho scelto un passaggio tratto dalla parte dedicata al gruppo dei Montagnais-Naskapi, distribuiti su tutto il vasto territorio che separa la costa atlantica del Labrador dalla sponda orientale della baia di Hudson.

Intorno all’orso ruotano numerose tradizioni, leggende, miti e rituali, diffusi in tutta l’area circumboreale, dall’Europa settentrionale alla Siberia, all’America subartica. In quest’ultima regione troviamo numerose pratiche cerimoniali connesse con l’orso e la sua uccisione particolarmente sviluppate tra i popoli del gruppo algonchino. Fin da epoche molto remote, la caccia dell’orso viene circondata, presso questi popoli, da un vasto insieme di prescrizioni cerimoniali e rituali, che variano da un gruppo all’altro, ma presentano numerosi esempi in comune. L’animale ucciso viene trattato con grande deferenza e rispetto, affinché gli altri membri della sua specie possano sentirsi onorati del trattamento ricevuto e si lascino quindi successivamente catturare e uccidere dai cacciatori. Generalmente, l’orso non viene chiamato in modo diretto ed esplicito con il suo nome, ma vengono impiegati diversi termini onorifici, allusioni metaforiche e giochi di parole. Inoltre, il corpo dell’orso ucciso viene abbigliato e ornato, la macellazione avviene secondo regole precise e la distribuzione delle diverse parti viene effettuata seguendo una rigida ripartizione sociale: determinate parti non possono essere consumate se non da coloro che occupano una certa posizione nella società (uomini, donne, anziani, bambini e così via). Grande importanza viene attribuita al cranio, che in molti casi era ripulito e decorato e appeso su pali, insieme con offerte rivolte allo spirito dell’orso, l’entità invisibile che presiede alla riproduzione e al benessere della specie e che si incarna di volta in volta nel singolo animale ucciso. (Tratto da Speck 1935, 95-96)

All’orso ci si riferisce con il termine “Coda Corta”, un termine allusivo e di cortesia. Tutto il corpo dell’orso viene utilizzato, poiché nulla di ciò che si è cacciato e ucciso con tanta fatica dev’essere sprecato. Una bella lezione valida anche per la nostra cosiddetta civiltà sciupona, inquinatrice e devastatrice.


Artù, l’Orso di Britannia
Mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto (1163-1165),
realizzato dal chierico Pantaleone.
Qui Artù compare come Rex Arturus.

Assai interessante è leggere qualcosa sull’origine della parola “orso” e arrivare al nome di re Artù, il quale non necessita di molte presentazioni. Il termine deriva dal latino ursus, collegabile al sanscrito arkṡas, al vedico arçasâna e al greco antico árktos, dalla radice indoeuropea arc(s)- che ha il significato di “offendere”, “assalire”, “ferire”.

 Un’ipotesi circa l’origine del nome “Arthur” è stata recentemente prospettata da alcuni storici britannici, consulenti della BBC . Esso, a loro dire, potrebbe infatti derivare dall’unione del termine bretone “Arth” (che significa “Orso“), con l’analogo termine di derivazione latina “Ursus”. Nella civiltà celtica gli uomini avevano come nome proprio quello di un animale che sceglievano per sottolineare un tratto fisico o caratteriale. In lingua celtica continentale l’orso era simbolo di forza, stabilità e protezione e soprattutto è l’animale simbolo per eccellenza della regalità. I troni di re celtici erano adornati da una pelle d’orso.

Spostandoci di civiltà in civiltà, “Arktouros”, ovvero “guardiano dell’orsa”, era il nome che i Greci davano alla stella in cui era stato trasformato Arkas, o Arcade, re dell’Arcadia e figlio di Callisto, che invece era stata trasformata nella costellazione dell’Orsa Maggiore (“Arctus” per i Romani).

A questo proposito inserisco qui il link a un articolo del nostro storico Franco Cardini sul simbolismo dell’orso, come al solito superlativo. Mi sembra che ci sia molta carne al fuoco, non trovate?

La fiaba: Riccioli d’oro e i tre orsi

Illustrazione di Arthur Rackham 
per English Fairy Tales di Flora Annie Steel
per Roubert Southey (1837)

La storia dei tre orsi (ora principalmente conosciuta come Riccioli d’oro e i tre orsi) è una favola per bambini, una delle più popolari in lingua inglese. La favola fu messa per la prima volta su carta dal poeta inglese Robert Southey, e pubblicata nel 1837 nel quarto volume della sua collezione The Doctor. Lo stesso anno, lo scrittore George Nicol ne pubblicò una versione in rime sulla base del racconto in prosa di Southey, e con l’approvazione dello stesso.  In realtà la storia dei tre orsi era in circolazione molto prima della pubblicazione della versione di Southey.

Entrambe le versioni raccontano di tre orsi e di una donna anziana che entra nella loro proprietà. Dalla sua prima pubblicazione il racconto ha subito due importanti modifiche nel corso degli anni. La prima riguarda la protagonista che da donna anziana è diventata nel tempo una bambina. Quest’ultima cambia numerose volte nome prima di arrivare nel 1904 ad essere chiamata Riccioli d’oro, mentre i tre orsi sono diventati papà, mamma e piccolo orso.

Nella fiaba una bambina, Riccioli d’Oro, si perde nel bosco. Nel corso del suo vagabondare vede una casetta, momentaneamente vuota, in cui vive una famiglia di orsi. Entra e tocca piatti, sedie e letti, mette tutto fuori posto. Ritornano i tre orsi e la bambina si nasconde, mentre in un’altra versione si addormenta sul letto del cucciolo di orso. Essi si accorgono che qualcuno è entrato e ha usato i loro oggetti, commentando a voce alta la cosa e rivolgendosi domande (“Qualcuno ha assaggiato la mia colazione”, “Qualcuno si è seduto sulla mia sedia!” “Qualcuno si è sdraiato sul mio letto”). La bambina, spaventata, esce dal suo nascondiglio – o, nell’altra versione, si sveglia – e riesce a sfuggire alla collera degli orsi
In questa fiaba il tema è rappresentato dall’intrusa che entra in una famiglia bene integrata e in cui ciascuno ha un suo ruolo specifico, a differenza della bambina che non ha ancora una sua precisa identità.

Il film: L’orso
La locandina del film.

L’orso (L’ours) è un film del 1988 diretto da Jean-Jacques Annaud, tratto dal romanzo The Grizzly King (1916) di James Oliver Curwood. Il film è ambientato nella Columbia Britannica del XIX secolo e ha come protagonisti un cucciolo di orso e un possente grizzly.

Il cucciolo rimane orfano della madre, schiacciata da una frana mentre scava alla ricerca di miele. Costretto ad arrangiarsi da solo, il piccolo cerca di trovare cibo e rifugio. Altrove, un enorme orso grizzly maschio è braccato da due cacciatori di trofei. Il cacciatore più giovane, avventato e ingenuo, appena ne ha l’occasione spara all’animale, ferendolo. L’orso, infuriato e ferito, fugge e, per vendicarsi, attacca i cavalli dei cacciatori uccidendone uno. Poco dopo, il cucciolo, trovatosi di fronte al grizzly e vedendo in lui una figura paterna, tenta di farselo amico: l’altro lo respinge. Il piccolo orso, insistente, gli si avvicina nuovamente e riesce a leccare la ferita mentre l’adulto è sdraiato in una pozza d’acqua nel tentativo di trarne giovamento. L’orso grande prende l’orfano sotto la propria protezione e gli insegna a pescare e a cacciare. Ma la lotta per le loro sopravvivenza continua e i cacciatori sono sempre sulle tracce dell’orso adulto. …

Il film venne girato in Italia nella zona delle Dolomiti, che contribuirono non poco alla bellezza della fotografia. Il dialogo è quasi completamente assente e tutto viene mostrato attraverso il punto di vista e i comportamenti dei due orsi. Nonostante l’assenza di dialoghi, quando uscì il film ebbe un grande successo presso il pubblico, toccato da questa moderna favola ecologica. Il messaggio implicito è che la cattiveria non alberga nel cuore di un animale, ma soltanto nell’essere umano che uccide e tormenta per il piacere di farlo. Qui il trailer in inglese del film, che non è nitidissimo ma è l’unico che ho trovato.
Il cartone animato: l’orso Yoghi

In una rassegna sull’orso non poteva mancare un esponente davvero simpatico, e cioè l’orso Yoghi (Yogi Bear) creato da Hanna-Barbera. Yoghi debutta nel 1958 (il primo episodio fu Yogi Bear’s Big Break) come personaggio secondario del Braccobaldo Show (The Huckleberry Hound Show)

Yoghi e Bubu hanno trovato un tavolo
con numerosi cestini da picnic.
Yoghi vive nel parco immaginario di Jellystone (storpiatura del famoso Yellowstone), è golosissimo e sempre affamato, e la sua attività preferita è il furto dei cestini da picnic dei turisti. Lo accompagna il suo timido amico Bubu (Boo-boo in inglese), orso di color nocciola chiaro dalla voce nasale. Yoghi ha anche una fidanzata di nome Cindy, provvista di un ombrellino e gonnellina, e con un civettuolo fiore sulla sommità della testa. Le ingegnose scorribande di Yoghi vengono frenate dal Ranger Smith, il severo custode del parco, che invariabilmente coglie Yoghi con le zampe nei cestini dei campeggiatori. 
L’accoppiata Yoghi-Bubu è quella dei duetti comici, o dei compagni di scuola dove uno è intelligente ma discolo, e l’altro prudente e saggio e lo avverte delle possibili conseguenze delle sue azioni, mentre il Ranger Smith assomiglia molto a un maestro incaricato di vegliare sulla disciplina degli scolari. 

Una curiosità che ho scoperto facendo le mie ricerche sul cartone animato riguarda la cravatta e il cappello verde di Yoghi. Pare che la scelta del colletto con cravatta fosse dovuta ad una contingente necessità di ridurre le spese in fatto di produzione di cartoon in anni critici, e quindi di fare economia sui disegni stessi. Si cominciò allora, nei mezzi busti, ad animare solo la testa di Yoghi, lasciando il corpo immobile e non ridisegnabile su altro supporto, che rimane invariato nel corso di moltissimi fotogrammi. Questo si ottenne grazie alla tecnica, all’epoca pionieristica, chiamata planned animation o limited animation, che richiese un minimo movimento dei personaggi e frequente variazione degli sfondi.


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E, per finire, due storie sull’orso diametralmente opposte. 

La prima tratta di come nacque l’orsacchiotto per i bambini, ovvero il pelouche più amato dai piccoli. Anche a me fu regalato dopo la mia nascita e arrivò proprio dall’Inghilterra, dono di una coppia di amici che mio padre aveva conosciuto durante la guerra. Ce l’ho ancora, ma ho dovuto rivestirlo perché è proprio molto malconcio!
L’orsacchiotto o Teddy Bear

La vignetta di Clifford K. Berryman.

Gli orsacchiotti sono un giocattolo tradizionale, nato negli Stati Uniti nei primi del XX secolo; nei paesi anglofoni sono noti con il nome di Teddy Bear (Orso Teddy). Il nome Teddy Bear deriva da un episodio accaduto al Presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt, soprannominato “Teddy”, che come passatempo andava a caccia grossa. Nel 1902, durante una battuta di caccia all’orso lungo il fiume Mississippi, Roosevelt si rifiutò di sparare a un esemplare adulto di orso bruno della Louisiana. L’orso era stato braccato dai cani, ferito e legato a un albero dagli assistenti del presidente, pronto per essere ucciso. Roosevelt si indignò, dicendo che sparare a un orso in quelle condizioni non sarebbe stato sportivo, ma ordinò che l’animale fosse ucciso per non farlo ulteriormente soffrire. La scelta di Roosevelt fu particolarmente apprezzata perché in quella battuta di caccia (come pare accadesse spesso al presidente) lui non riuscì poi ad abbattere nessun orso, tornandosene a casa senza alcun trofeo.

La notizia giunse ai quotidiani, che soprannominarono l’orso “Teddy Bear”. Il giorno successivo il disegnatore satirico Clifford K. Berryman pubblicò sulla prima pagina del Washington Post una vignetta che mostrava Roosevelt nell’atto di volgere le spalle all’orsetto legato con un gesto di rifiuto. I lettori si innamorarono dell’orsetto della vignetta, e in seguito Berryman inserì immagini di orsetti in molti dei suoi disegni. Gradualmente, gli orsetti di Berryman divennero sempre più “piccoli, rotondi e carini”, contribuendo a creare lo stereotipo dell’orsacchiotto.

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La seconda storia, invece, ci ricorda che gli animali selvatici in carne ed ossa non sono quelli dei pelouche e dei cartoni animati, e che condurre un certo tipo di esistenza alla lunga può rivelarsi fatale.

Timothy Treadwell


La terribile fine di Timothy Treadwell

Forse alcuni di voi ricorderanno il caso di Timothy Treadwell, all’anagrafe Timothy Dexter (1957-2003), un ambientalista e documentarista statunitense, A un certo punto della sua vita decise di vivere a stretto contatto con gli orsi grizzly nel Parco nazionale e riserva di Katmai in Alaska. Treadwell visse assieme agli orsi ogni estate per tredici anni, dal 1990 al 2003, studiandoli e documentando ogni loro movimento. Questa sua bizzarra scelta di vita lo portò a diventare una celebrità negli Stati Uniti, tanto da partecipare a svariati show. 
Nel 2003, la tredicesima estate fu per lui fatale. Si trovava nel parco in compagnia della fidanzata Amie Huguenard, quando i due furono assaliti e sbranati da alcuni nuovi esemplari affamati e probabilmente non abituati alla loro presenza. Della loro tragica fine esiste una documentazione audio fornita dalla telecamera di Treadwell, che era otturata dal tappo e che registrò le loro grida strazianti. La vita, il lavoro e la morte di Treadwell sono stati raccontati nel documentario Grizzly Man (2005) di Werner Herzog.
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Questo post sull’orso è stato particolarmente impegnativo, e ho dovuto escludere a malincuore molti orsi, ad esempio Baloo ne Il libro della giungla o altri! Come sempre, potete arricchire la mia carrellata con commenti e vostri ricordi personali di cui vi ringrazio sin d’ora.
Fonti: 

Riti e misteri degli Indiani d’America, edizione Utet
Wikipedia per testi di trame e personaggi, fortemente adattati.