Palli (Pallina), una splendida gatta
dagli occhi color smeraldo.

Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;
ritira le unghie nelle zampe,
lasciami sprofondare nei tuoi occhi
in cui l’agata si mescola al metallo.

Quando le mie dita carezzano a piacere
la tua testa e il tuo dorso elastico e la mia mano
s’inebria del piacere di palpare il tuo corpo elettrizzato,
vedo in ispirito la mia donna.

Il suo sguardo, profondo e freddo come il tuo, amabile bestia,
taglia e fende simile a un dardo, e dai piedi alla testa
un’aria sottile, un temibile profumo
ondeggiano intorno al suo corpo bruno.

Attraverso gli splendidi versi del poeta francese Charles Baudelaire, vi presento il più bell’animale che sia mai comparso sul nostro pianeta:

il gatto 

Questo felino è per me l’incarnazione vivente della Bellezza, perfetto dalla punta delle orecchie fino all’estremità della coda. Lieve, poetico, elegante, enigmatico, pigro. Ma anche scattante, agile e fulmineo quando deve assicurarsi la preda. E con occhi che ci fissano come se fossimo noi delle strane creature frapposte al suo campo visivo. Dovrei scrivere almeno trenta post in onore dei felini, ma soprassiedo e mi limiterò a suddividere la specie in due puntate distinte: qui, il gatto e, in seguito, i grandi felini come la tigre, il leone, la pantera. Amo il gatto, anzi lo adoro. E questo verbo mi porta alla prima immagine che apre la mia carrellata. Nel principio era una terra e un’epoca dove il gatto era particolarmente venerato…

La gatta divina:
Bastet


Tutto cominciò con l’antico Egitto e con le sue divinità antropomorfe, ma dalla testa d’animale. Sul libro Iniziazione ai culti egizi di Ada Russo Pavan, si dice che Bastet fu associata fin da subito alle dee leonesse Tefnut, Sekhmet, a Ra e anche a Ptah-Bast-Nefertum. Era figlia-sposa-sorella di Ra, ma era anche l’occhio della luna. Era la madre del dio-leone Miysis “dallo sguardo feroce” denominato “signore dei massacri”. Venerata a Bubastis (chiamata “Pa-Bast”, la dimora di Bast-Pi-Beseth), veniva adorata come dea della gioia, dell’ebbrezza ed era protettrice della maternità. Ogni parte del suo corpo corrisponderebbe a una parte del corpo degli dei, tra cui il naso a Thoth. Dite poco? Thoth era nientemeno che il Signore delle divine scritture, il Demiurgo Universale.

Bastet era la Signora dell’Est, e il suo animale sacro era il gatto. A volte, veniva lei stessa rappresentata come una gatta in atto di allattare i suoi cuccioli tra le gambe anteriori, simbolo di fertilità. Ma Bastet era anche colei che sgominava il male soprattutto di coloro che agivano nell’ombra contro i figli della luce. Fu detta anche l’Anima di Iside benevola, la Dea Lontana. A Bubastis si tenevano periodiche feste dove era proibito cacciare il leone. Tracce del culto di Bastet sono state rinvenute nell’Italia meridionale, soprattutto a Pompei. Ne deduco quindi che il gatto è subito associato alla femminilità, e alla luna, alla notte e al mistero.


Il romanzo:
Il maestro e Margherita di Michail Bulgakov
Gatto di Louis Wain (1860-1939)

Si tratta di un romanzo pubblicato dallo scrittore russo tra il 1966 e il 1967, e rimasto incompiuto. Composto di numerosi episodi collegati fra loro, il romanzo si svolge su due principali piani narrativi, ai quali corrispondono due differenti ambientazioni. La prima di queste è la Mosca degli anni trenta del Novecento, in cui si trova in visita Satana nei panni di Woland, un misterioso professore straniero, esperto di magia nera, attorniato da una cricca di personaggi alquanto particolari: il valletto Korov’ev, soprannominato Fagotto, un ex-maestro di cappella sempre vestito con abiti grotteschi, il gatto Behemot, il sicario Azazello, Abadonna con il suo sguardo mortale e la strega Hella. L’arrivo del gruppo porta scompiglio non solo fra i membri di un’importante associazione letteraria sovietica, ma in tutta Mosca.

Il romanzo è molto complesso e possiede diversi percorsi di lettura: dalla satira nei confronti della società, al rapporto tra il bene e il male, al ritratto di una élite intellettuale oppressa dalla censura e dalle persecuzioni, alle allegorie mistico-religiose ai rimandi al Doktor Faustus, e alla storia d’amore. Nel romanzo, Behemoth, un demone servitore di Satana, ha l’aspetto di un enorme gatto grasso e nero, in grado di parlare e camminare sulle zampe posteriori. In alcune scene prende un aspetto umano, ma mantiene sempre alcune somiglianze con il suo sembiante solito: la grassezza, la piccola statura e i tratti felini. 

« Il terzo di quella compagnia era un gatto sbucato da chi sa dove, grosso come un maiale, nero come il carbone o come un corvo, con tremendi baffi da cavalleggero. Il terzetto avanzava verso il Patriaršij, e il gatto camminava sulle zampe posteriori.»

Approfitto per presentarvi qui il pittore Louis Wain, molto conosciuto per le sue raffigurazioni di gatti antropomorfi. Negli ultimi anni della sua vita questo artista soffrì di disturbi mentali, alcuni ipotizzano di schizofrenia. Questo si rifletterebbe nella stessa trasformazione dei suoi gatti dipinti che, da animali sorridenti e paciosi adatti per le rassicuranti storie vittoriane, mutarono in qualcosa di molto simile a elettrificati frattali dove a stento si può riconoscere l’animale. Se volete vedere la trasformazione dei suoi gatti, potete cliccare sul seguente link.

Il racconto:
Il gatto nero di Edgar Allan Poe
The Black Cat, illustrazione di
Aubrey Beardsley (1894)
Il gatto nero è uno dei più terrificanti racconti di Edgar Allan Poe, scritto nel 1843, e uno dei suoi più celebri. La storia è narrata dal punto di vista dell’assassino alla vigilia della sua esecuzione, come in una sorta di confessione al lettore dei fatti occorsi, per sgravarsi la coscienza. Fin dall’inizio il narratore assicura di non essere pazzo, ma di voler raccontare quello che accadde, per quanto incredibile possa sembrare. Inizia con il resoconto di una vita contraddistinta, fin dall’infanzia, da un ottimo carattere, e da un felice matrimonio. Entrambi i coniugi amano molto gli animali e non perdono occasione di procurarsene, come uccelli, pesci rossi, un bellissimo cane, conigli, una scimmietta e un gatto. Il gatto si chiama Plutone, è grande, nero di manto e dotato di viva intelligenza. Il nome è significativo in quanto Plutone è il dio degli inferi e dei morti, e ogni tanto la moglie richiama le credenze secondo cui un gatto nero sarebbe una strega sotto mentite spoglie. Nonostante questo, il gatto è il preferito dell’uomo e la convivenza con lui dura per parecchi anni senza scossoni.
A un certo punto, però, a causa dei suoi problemi di alcolismo, il protagonista comincia a cambiare carattere, a picchiare sua moglie e a maltrattare gli animali, mantenendo però un certo riguardo per il gatto. Ma una notte la situazione precipita…

Una notte, tornando a casa ubriaco fradicio, da uno dei miei soliti giri per le bettole della città, mi sembrò che il gatto evitasse la mia presenza. Lo afferrai e quello, impaurito dalla mia violenza, mi fece con i denti una piccola ferita sulla mano. La furia di un demonio si impossessò di me rendendomi irriconoscibile perfino a me stesso. Mi sembrò che la mia anima originale fosse volata via dal mio corpo ed una cattiveria feroce, alimentata dal gin, invase tutte le fibre del mio corpo. Presi dalla tasca un temperino, lo aprii, strinsi la povera bestiola alla gola e…

Non vi dico altro, perché se non lo avete letto varrebbe veramente la pena di farlo. Insieme a Il cuore rivelatore e a Il pozzo e il pendolo, lo considero uno dei più angoscianti racconti del narratore americano. La capacità di scrittura di Poe è magistrale. Per la raffigurazione del racconto, ho scelto questa di Beardsley.
La fiaba:
Il gatto con gli stivali
Il gatto con gli stivali è una fiaba popolare europea. La più antica attestazione scritta della storia risale a Giovanni Francesco Straparola, che la incluse nelle sue Piacevoli notti (pubblicate a partire dal 1550) con il titolo di Costantino Fortunato. Un secolo più tardi, vide la luce la versione di Giambattista Basile. Nel Romanticismo tedesco fu Ludwig Tieck a scrivere questa fiaba con linguaggio tipicamente romantico.Celebri divennero anche le versioni create da Charles Perrault e dai Fratelli Grimm. 
Il gatto con gli stivali in un’illustrazione
ottocentesca di Carl Offerdinger.

Le versioni attualmente più note della fiaba discendono proprio dalla codificazione di Perrault, risalente al XVII secolo. In questa, un ricco e vecchio mugnaio in punto di morte chiama a sé i suoi tre figli: al figlio maggiore lascia in eredità il suo mulino e il cavallo; al secondogenito viene lasciato il mulo e una casa di campagna; al figlio minore viene lasciato soltanto il gatto che amava tanto. Il ragazzo è triste e deluso: che cosa se ne fa di un gatto? Sconsolato, si siede su una roccia per pensare al da farsi, quando il gatto gli rivolge la parola! Lo esorta a non preoccuparsi per il suo avvenire: insieme faranno fortuna. Il felino indossa quindi un paio di stivali e si mette all’opera. 
Proprio per l’inventiva e la furbizia del gatto, il ragazzo, che parte svantaggiato, supera ogni difficoltà arrivando a sposare la figlia di un re e a “sistemarsi”. Il gatto viene dunque considerato come un autentico consigliere per una rapida ascesa sociale. Tale ascesa assicura il benessere materiale per il padrone, ma anche per la bestiola. Nel finale si offre un preciso ritratto della società francese aristocratica del secolo di Perrault: infatti il “gatto dagli stivali” diventa un nobile cacciatore, che caccia i topi solo per divertimento.



Il cartone animato:
Gli Aristogatti 
“Tutti quanti-tutti quanti-tutti quanti voglion fare jazz!”
Non ho resistito alla tentazione di inserire questo classico film d’animazione Disney, che è il trionfo sia della specie felina, in tutte le sue caratteristiche e in tutti i suoi ceti sociali, sia di una città che amo molto: Parigi. Il connubio tra i gatti e la capitale francese è sempre uno sposalizio di grande fascino, e risveglia in me una certa commozione. Gli Aristogatti (o The Aristocats) è un film del 1970 diretto da Wolfgang Reitherman e prodotto dalla Walt Disney. 
A Parigi, nel 1910, una gatta di nome Duchessa e i suoi tre cuccioli, Minou, Matisse e Bizet, vivono nella ricca dimora della cantante lirica in pensione Madame Adelaide Bonfamille, insieme al maggiordomo Edgar. La donna decide di fare testamento chiamando il suo avvocato. Dispone che la sua fortuna sia lasciata ai suoi gatti, che la terranno fino alla loro morte. Solamente dopo, essa andrà a Edgar. Il maggiordomo, che ha udito tutto, decide quindi di sbarazzarsi dei gatti per accaparrarsi subito l’eredità. Li addormenta mettendo sonniferi nel cibo, li carica in una cesta e la notte si dirige verso la campagna a bordo della sua motocicletta con l’intenzione di abbandonarli, ma finisce in un’imboscata tesa da due cani randagi e un po’ svitati, Napoleon e Lafayette. Edgar fugge, lasciando dietro di sé alcuni oggetti, il cestino dei gatti e il sidecar della sua motocicletta. I gatti si risvegliano mentre si scatena un forte temporale e passano la notte sotto il ponte, spaventati e infreddoliti. Al mattino, arriva un gatto randagio di nome Romeo, dal forte accento romanesco, che, affascinato dalla bellissima Duchessa, si offre di guidare lei e i suoi gattini sulla strada fino a Parigi. …
Durante il viaggio di ritorno, i gatti incontrano varie specie animali, come due oche inglesi, con cui Romeo ha uno scambio esilarante, e il loro zio ubriaco di sherry. Presenze importanti nella storia anche sono la cavalla Frou-Frou e il topo Groviera, e soprattutto gli amici di Romeo, cioè Scat Cat e la sua band. Ho voluto scegliere l’immagine dei gatti jazzisti nella soffitta, mentre sono scatenati nel suonare il piano, la tromba e il contrabbasso, perché è una delle scene musicali più travolgenti e ritmate nella storia del cinema… nonostante sia interpretata da gatti! 
Il fumetto: Felix the Cat

Felix the Cat è un personaggio creato da Pat Sullivan e Otto Messmer: un gatto nero interprete di storie affidate più all’immagine che al testo e guidate da una logica visiva stralunata e poetica. Nacque nel 1919 nel cortometraggio Feline Folies, animato da Otto Messmer e prodotto da Pat Sullivan. Se volete vedere il cortometraggio, della durata di 4.6 minuti circa, cliccate sul seguente link. Qui il gatto viene chiamato Master Tom ed è impegnato a corteggiare una deliziosa gattina bianca.

Felix the Cat si ispira a Krazy Kat di George Herriman, e si ritiene che questo personaggio abbia influenzato Walt Disney per la realizzazione di Oswald il coniglio e del celebre topo Mickey Mouse. In Italia è conosciuto grazie al Corriere dei Piccoli come Mio Mao. Felix vive in un mondo apparentemente normale popolato da esseri umani e da animali, con i guai quotidiani che possono capitare a chiunque. Questo mondo è però pervaso da un afflato poetico e lunare che lo distingue da ogni altra storia a cartoni animati, cui, a parer mio, contribuisce non poco il disegno in bianco e nero. Felix si esprime con la duttile coda, che atteggia a punti esclamativi e interrogativi. Inoltre, Felix può utilizzare questi segni come delle mazze da baseball.

Citazioni e aforismi:


Le citazioni e gli aforismi sui gatti sono un vero e proprio oceano, e ho potuto selezionarne solo alcuni. Rimando quindi alla lettura di siti dedicati come Aforisticamente, e alla sua bellissima pagina sul gatto.

Julie Manet detto anche Bambina con il gatto
di Pierre Auguste Renoir (1887)


Mi dà sempre un brivido quando osservo un gatto che sta osservando qualcosa che io non riesco a vedere. (Eleanor Farjeon)

Credo che i gatti siano spiriti venuti sulla terra. Un gatto, ne sono convinto, può camminare su una nuvola. (Jules Verne)

Gli occhi di un gatto sono finestre che ci permettono di vedere dentro un altro mondo. (Leggenda Irlandese)

Il gatto non fa nulla, semplicemente è, come un re. (Claudio Magris)

Il gatto è un lembo di notte arrotolato sullo spigolo di un tetto. (Antonio Casanova)

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Non vedo comunque l’ora di sapere la vostra opinione su questo animale davvero magico! Quali altri esempi in letteratura, nei cartoni animati e nei fumetti vi vengono in mente? Avete un gatto tutto vostro?