Behemoth e il Leviatano
di William Blake

Durante il periodo estivo mi è capitato di leggere Tempi glaciali di Fred Vargas, un romanzo giallo pubblicato dopo quattro anni di silenzio da parte dell’autrice e accolto da pareri controversi. Il romanzo non mi ha del tutto convinto per una serie di motivi, il primo dei quali è che sembra essere il risultato di due macrotrame, una riguardante alcuni fatti accaduti in Islanda, e l’altra inerente una strana associazione di nostalgici della Rivoluzione Francese, e che sono state unite insieme in maniera quantomeno forzata.

Il secondo motivo di perplessità è nell’esposizione di alcuni fatti riguardanti la Rivoluzione stessa: è il periodo che conosco meglio, molto di più del Medioevo, e quindi mi attira moltissimo, ma mi porta anche a cercare il pelo nell’uovo. Senza fare dello spoiler, vi basti sapere che vengono menzionati noti politici dell’epoca, e com’è ovvio la figura di Maximilien Robespierre che, nel bene e nel male, sembra in qualche modo incarnare quel periodo così esaltante e sanguinoso. Naturalmente Tempi glaciali non è un romanzo storico, però chiama in causa la componente storica o comunque erudita che, in tutti i romanzi di questa autrice, è come il granello attorno al quale si svilupperà la perla della narrazione. E quindi mi ha dato l’idea per questo post.

L’uso di personaggi storici celebri, e che tutti conosciamo se non altro per averli studiati a scuola, tra uno sbadiglio e un sonnellino, mi ha fatto pensare ai rischi che si corrono imperniando un romanzo storico, lavoro già di per sé titanico, attorno a una figura conosciuta, come ad esempio un condottiero, un sovrano, uno scienziato o un artista. Il rischio è tanto più grande quanto più il periodo è vicino a noi: al lettore sembra di conoscerlo meglio, oppure si è già fatto una sua idea, a torto o a ragione. Più indietro si va nel tempo, più il periodo si fa nebuloso e incerto, e meno si trova nelle fonti; ma ci si può concedere qualche libertà in più, sempre rimanendo nell’ambito del verosimile. E comunque l’errore è sempre in agguato. Quali sono gli aspetti su cui il terreno attorno al personaggio si fa insidioso come quello delle sabbie mobili?

Siccome il discorso è complesso, suddividerò la questione in un paio di post, o al massimo tre, che intitolerò il Leviatano con riferimento alla biblica e temibile creatura degli abissi marini, e in questa sede mi concentrerò solamente


sull’aspetto fisico

FASE UNO

Se ci sono dei ritratti, delle sculture, o delle descrizioni di testimoni dell’epoca, che siano attendibili, in teoria bisognerebbe partire da quelli senza alterarli troppo. Se Giulio Cesare aveva pochi capelli, e la cosa era risaputa, non si può descriverlo con una massa di capelli lunghi e riccioluti.

Enrico II in un ritratto immaginario
del 1620

Enrico II Plantageneto, re d’Inghilterra, viene descritto così da un suo funzionario, Pietro di Blois, nel 1177: “…il re ha avuto finora i capelli di color rosso, salvo che con l’arrivare a tarda età i capelli grigi si alternano con quel colore. La sua altezza è media, cosicché non appaia grande ai piccoli né piccolo ai grandi… gambe storte, grande torace, ed i compagni d’arme lo ritengono un uomo forte, agile e ardito… non si siede mai, a meno che non mangi o monti un cavallo…” Sembra assodato che Enrico avesse i capelli rossi, e non si può tingerglieli facendolo diventare biondo platino. Visto che era soggetto ad attacchi di collera, non garantisco che non venga a tirarvi i piedi di notte o a fare anche di peggio!

Maximilien Robespierre aveva gli occhi verdi, nella celebre descrizione del suo aspetto fisico e del suo abbigliamento curatissimo: “Le teint pâle, les yeux verts, habit de nankin rayé vert, gilet blanc rayé bleu, cravate blanche, toujours poudré.” Se sono verdi, quindi, non possono essere azzurri, e mi dispiace per Fred Vargas che ammiro molto, ma che ha commesso un errore nel suo romanzo.

Se Filippo IV re di Francia (quello del cosiddetto schiaffo di Anagni a Papa Bonifacio VIII e il responsabile dell’annientamento dell’ordine Templare) era soprannominato il Bello, penso che il soprannome non fosse ironico dato che il sovrano non faceva palpitare i cuori a molta gente, e se ciò avveniva non era per motivi sentimentali. La bellezza dunque c’entrava, sebbene i canoni varino anche moltissimo di epoca in epoca, e naturalmente di cultura in cultura. Ai tempi del pittore Rubens o anche più indietro, le donne bene in carne erano molto apprezzate in quanto i fianchi larghi e voluttuosi erano indice di fertilità; e oggi, presso alcune popolazioni africane, la mancanza degli incisivi rende bellissimo un uomo, ma proprio bello “da concorso”, e quindi non bisogna stupirsi troppo.

FASE DUE


Detto questo, non si può star tranquilli nemmeno in presenza di ritratti. Perché? Perché la Storia viene piegata a uso e consumo di chi la racconta, specie se si tratta di una persona potente o semplicemente in vista. Nella descrizione dell’aspetto fisico, c’è sempre il rischio dell’esaltazione e del “santino”, o viceversa della calunnia politica, della damnatio memoriae, come nel caso di Lucrezia Borgia, che fu più una vittima dei suoi illustri parenti, e una pedina nelle mani del padre e del fratello, che una vera assassina.

Ritratto di Maximilien Robespierre di Anonimo
Musée Carnavalet 

Ritornando al nostro Robespierre, ad esempio, c’è una grande quantità di ritrattistica, anche perché nella sua abitazione presa in affitto presso i falegnami Duplay, a Parigi, aveva un salottino dove, a sicuro indizio di vanità, collezionava i ritratti che gli avevano fatto, o che commissionava: quadri a olio, schizzi, medaglie, busti ecc. In essi c’è una certa uniformità nell’espressione severa, sia che gli autori abbiano voluto abbellirlo di proposito sia che lo abbiano ritratto com’era. Qui accanto trovate il più famoso ritratto di lui, nel bellissimo Musée Carnavalet di Parigi che ha un intero piano dedicato all’epoca della Rivoluzione.

La questione dell’aspetto fisico di Robespierre è stata rinfocolata alla fine del 2014, quando due studiosi, Philippe Froesch e Philippe Charlier (medico legale dell’Université Versailles Saint-Quentin), hanno ricostruito il suo volto sulla base di una maschera mortuaria. Ne è emerso un viso che non ha nulla a che fare con i ritratti che conosciamo, e che è spaventoso a vedersi. Se non temete il confronto con una vera e propria faccia di Medusa, di quelle che pietrificano, e volete anche leggere l’articolo apparso su La Stampa, tirate un lungo respiro e cliccate qua. Superato lo shock mi direte: siamo a posto, comunque! Ecco la vera faccia di Robespierre: è brutto, anzi, è orrendo, ma non c’è dubbio alcuno che fosse lui. Possiamo descriverlo così nel romanzo che abbiamo in mente.
FASE TRE

No, non è ancora finita! Al di là dell’utilità di queste operazioni, non si può dare nemmeno per certo che quello fosse il suo vero volto. Perché? chiederete voi, esasperati e sul punto di mandarmi al diavolo… e qui entra in campo il lato investigativo dell’autore di romanzi storici, abituato ad avere a che fare con saggi che si contraddicono l’uno con l’altro e che sembrano nati per fare venire dubbi persino sul proprio nome e cognome.

Robespierre ferito nell’ anticamera 
del Comitato di Salute Pubblica (stampa).

Indizio numero 1: il genere di morte che fece: durante l’arresto all’Hôtel de Ville, Robespierre cercò di spararsi in bocca, oppure gli spararono addosso, il che è lo stesso. Il risultato è che il colpo di pistola gli portò via metà faccia, ma non riuscì a morire, tanto che gli dovettero estrarre frammenti di denti e ossa, prima di bendargli la testa per tenergli insieme la mandibola. Avevano paura, infatti, che morisse dissanguato prima di affrontare il patibolo. Al momento dell’esecuzione uno dei boia gli strappò la benda, ed egli lanciò un urlo terribile per il dolore, e la mascella gli cadde penzoloni. La sua testa ghigliottinata e spappolata venne mostrata al popolo. Dubito molto che chiunque avesse potuto ricavare una qualsiasi maschera mortuaria attendibile, o avrebbe dovuto avere una fantasia piuttosto sbrigliata.

Indizio numero 2: nel viso ricostruito ci sono le tipiche tracce bucherellate del passaggio del vaiolo. Ho letto parecchi saggi, ma da nessuna parte è menzionato il fatto che Robespierre avesse sofferto di vaiolo, mentre è sicuro che lo avesse avuto Danton il cui volto era pieno di cicatrici – tra cui quella dell’incornata di un toro ricevuta in campagna quando era bambino. Robespierre è stato descritto come un uomo gracile, magro, verdastro o giallastro, con gli occhialini verdi da miope a fondo di bottiglia, sofferente di accessi di febbre, con piaghe sulle gambe, e gli è stato addosso in qualsiasi maniera, calunniandolo anche sull’aspetto fisico. Mi chiedo se i suoi detrattori si sarebbero lasciati scappare una ghiotta occasione come quella di aggiungere che fosse anche sfigurato dal vaiolo.

FASE QUATTRO

Potremmo scegliere allora un personaggio che sia stato fotografato o videoripreso. Tenete conto che molte fotografie possono essere alterate a fini politici in modo che possano farci credere qualsiasi cosa. In alcune fotografie sono state fatte persino sparire delle persone, perché diventate sgradite ai regimi e per motivi di propaganda! Del resto, che cosa c’è di più ingannevole dell’occhio, in una società ormai dominata dalle immagini e dall’aspetto fisico?

CONCLUSIONI

Non c’è molto che si possa fare per quanto riguarda l’aspetto fisico, se non trarre le somme di testimonianze e fonti che siano il più possibili concordi, e completarle con la nostra personale visione di narratori. Se mancano del tutto le descrizioni, si può allora lavorare un po’ di fantasia, ispirandoci magari ad altri resoconti, o a dipinti, arazzi, disegni che possano restituirci il nostro uomo o la nostra donna. Il lettore benevolo intuirà lo sforzo che trapela dietro le righe, e ci darà la sua personale assoluzione.

***



Voi che cosa ne pensate? Vi siete mai cimentati come autori o lettori con personaggi storici celebri, e quali difficoltà o perplessità avete incontrato? Se non l’avete fatto, come vi muovereste?