La copertina del romanzo,
edito su ilmiolibro.it
Link per l’acquisto

Nadia Bertolani ci ha abituati a romanzi dove protagoniste sono città reali o immaginarie, e non è un caso che nelle sue pagine ricorrano spesso citazioni da Le Città invisibili di Italo Calvino. In quei luoghi la topografia si è calcificata, si è trasformata in pietra; altrove, la visione si offre, instabile, come le fluttuazioni della nebbia e della calura estiva. Anche Torralta, la città dove è ambientato il nuovo romanzo, Mariotta, la quarta bambina, rappresenta molto più del luogo natale dell’io narrante: è sia un vero e proprio cervello con le sue circonvoluzioni, sia un macchinario teatrale. Entrambi nascondono straordinarie sorprese, ma anche trappole e pericolosi marchingegni. E viluppi da sciogliere.

Il romanzo si apre, infatti, con la rivelazione che la protagonista Fiammetta ha perduto parte dei suoi ricordi d’infanzia, ed è tormentata dall’incubo di una bambina che la fa visita ogni notte e che l’ha portata al sonnambulismo; e Fiammetta rabbrividisce di paura solo girando una chiave nella toppa. Quella bambina è Mariotta, e l’ultima memoria che conserva di lei è una sbiadita immagine che precipita, fluttuando, da una torre. Sì, ma dove finisce la realtà e dove inizia la fantasia? Dove la sanità mentale lascia il campo all’allucinazione? Quella bambina è esistita veramente, o è solo il prodotto di quella vena di follia che esiste, dormiente, in tutti noi, e che in alcuni prende il sopravvento?


Il marito Nicola, celebre scrittore di fiabe, dopo aver inutilmente tentato con ogni mezzo di ridarle la memoria, convince Fiammetta a ritornare a Torralta in occasione di un Premio Letterario alla Carriera che la città vorrebbe assegnargli. Nicola sa che la fiaba è un potente mezzo per affrontare ed esorcizzare le paure dell’infanzia, e i draghi e gli orchi nelle pagine sono gli stessi che i bambini dovranno incontrare nella vita reale. Sa che i bambini non si spaventano, come qualche intellettuale benpensante o genitore troppo ansioso hanno supposto anche in tempi recenti, viceversa colgono il nesso grazie alla loro pronta intuizione. Sa che il fantastico è un non-luogo dove tutto è possibile, e che le più grandi conquiste sono state realizzate da persone dotate di quell’inesauribile fantasia che le ha sospinte ad andare “oltre”: persone che, come lui, non sono mai cresciute (nel senso migliore del termine), ma hanno conservato dentro di sé lo stupore dell’infanzia, la capacità di avvistare il male e non caderne preda, di combinare pezzi differenti del mosaico per creare il nuovo. Quel che egli vuole regalare a Fiammetta è quindi la memoria dell’infanzia, assumendosi il ruolo di un un funambolesco, colorato, buffo analista. E la cura potrà essere trovata solamente a Torralta dove tutto sembra aver avuto la sua origine, e come intuisce la stessa protagonista che ne conserva un ricordo vischioso e sgradevole.

Mistero e malinconia di una strada
di Giorgio De Chirico (1914)
Collezione privata
Dopo la città e le fiabe, il tempo è il terzo attore di questo romanzo, un tempo vissuto in maniera diametralmente opposta da Nicola e Fiammetta. Il primo non ha paura dei cambiamenti, che accoglie con un placido stupore per come vanno le cose , per come scompaiono e vengono sostituite da altre, senza avvisarti, senza che tu te ne accorga. Fiammetta, invece, malgrado sia molto più giovane di lui, lo teme perché è sicura che nell’equazione tempo=morte si nasconda l’indicibile in agguato. Non è un caso che sia attratta dal cimitero del Père Lachaise di Parigi, città in cui abita con il marito.

Ma a Torralta il tempo si raggruma e si tende a seconda delle circostanze, e  tutto si gioca nell’arco di tre giornate, l’ultima delle quali una caldissima e onirica estate di San Martino in cui tutto sfolgora e riluce. Fiammetta ha una serie di incontri, che le fanno riaffiorare la memoria a ondate progressive e sempre più ampie. In quelle ritornano le sue compagne di giochi – la prepotente Elisa, la sciocca Giovanna e infine Mariù, detta Mariotta – e il loro luogo di incontri: il giardino della Torre dove giocano attraverso la regolarità delle ordinate siepi di bosso, all’ombra dell’edificio medievale rivolto al cielo (ancora e sempre, le geometrie!). Giochi ravvivati dal linguaggio cifrato del “PA” con cui scambiarsi messaggi che gli adulti non possono capire, dalle apparizioni del bambino nano e della donna nera, dalla leggenda della principessa decapitata per adulterio… o forse no. Un’estate dove realtà e fantasia si mescolano continuamente, e dove tutto sembra precipitare a spirale verso l’ultima giornata estiva: quella dove riemergerà che cosa è davvero accaduto nella torre del castello, oltre la porta di legno mai chiusa a chiave.

Ancora una volta Nadia ci regala una storia sorprendente, stavolta imperniata sulla memoria infantile e sull’identità smarrita, e lo fa con il suo linguaggio raffinato, attraverso frasi che sembrano seguire i movimenti del pensiero, asciutto e secco quando il dolore diventa aspro, inquieto quando le zone d’ombra minacciano di invadere la mente, prolungato quando il torrente delle impressioni si fa troppo incalzante. Come sempre ci sono rimandi colti, ma l’autrice li inserisce nella sua maniera non pedante, e sempre in modo funzionale alla storia. La narrazione è scandita dalle strofe di un ritornello su quattro bambine che “trottano, trotterellano”, che durante il nostro incontro a Piacenza l’autrice mi ha rivelato essere il primissimo mattone su cui ha costruito le fondamenta del suo romanzo, della sua torre oscura. Come a dire che il processo della scrittura è davvero una cosa misteriosa e sorprendente, esattamente come in una fiaba. 
Tra i suoi personaggi, spiccano Nicola l’affabulatore, per simpatia e arguzia, la prepotente bambina Elisa (e nell’infanzia chi di noi non ha subito le angherie di una tormentatrice, o non ha sofferto a causa di un bulletto?), il ripugnante e grottesco Riccardo, quasi un Orson Welles redivivo di gran lunga meno geniale e attraente. E, naturalmente, il personaggio di Mariotta, che sosterà a lungo nella nostra memoria anche dopo che avremo chiuso l’ultima pagina di questo toccante romanzo sull’infanzia.