La copertina del romanzo,
edito dalla casa editrice Meravigli

La Vipera e il Diavolo di Luigi Barnaba Frigoli è uno dei migliori romanzi storici che mi sia capitato di leggere da qualche anno a questa parte, e costituisce un’autentica chicca per chi ama il genere. Onore al merito dell’autore, dunque, per aver saputo scrivere una storia dove realtà e fantasia sono perfettamente calibrate, i personaggi risultano complementari, e anzi necessari l’uno all’altro, lo stile adottato è impeccabile e senza sbavature.

Innanzitutto, ecco la quarta di copertina: Milano, seconda metà del Trecento. Un solo trono, due pretendenti: Gian Galeazzo, ambizioso, scaltro e risoluto rampollo della famiglia Visconti, e Bernabò, suo zio, il terribile e spietato ammazzapreti, fustigatore del popolo. Pronti a tutto per conquistare il potere, indiscusso e totale. Una rivalità destinata a diventare scontro senza esclusione di colpi, tra congiure e intrighi, esecuzioni e duelli, incantesimi e tradimenti, invidia e sangue, amore e odio. Trame oscure scandite da antiche leggende e intessute nell’ombra da Tasso, aromatario in fuga dai fantasmi del suo passato, e da Libista, cuoca prestata alla stregoneria per saziare la sua sete di vendetta. La resa dei conti, tra Vipera e Diavolo, non tarderà ad arrivare. E sarà per la vita o per la morte. In palio, oltre allo scettro, la gloria imperitura. Oppure l’eterna dannazione.

Siamo in un periodo storico dove sul vasto territorio del Milanese regnano due esponenti della luciferina famiglia Visconti: Bernabò, signore della parte orientale di Milano e dei territori che si estendono fino ai confini della Repubblica di Venezia, e Gian Galeazzo, che governa la parte occidentale di Milano e gli altri territori occidentali, inclusa Pavia dove ama risiedere, ereditati dal padre. Esattamente come nella spartizione di territori e potere delle famiglie malavitose, così si presentano a noi i due Visconti. I due protagonisti dello scontro non potrebbero essere più diversi, come a voler paragonare un animale a sangue caldo (Bernabò) e uno a sangue freddo (Gian Galeazzo).

Monumento funebre di Bernabò Visconti, opera di Bonino da Campione
(1363) – Al Castello Sforzesco di Milano – Foto di Giovanni Dall’Orto

Entrambi intelligenti, ma diversissimi a partire dal carattere, come testimoniano anche le cronache dell’epoca. Tanto il primo è crudele, duro, irruento, mangiapreti, donnaiolo, intemperante e stracolmo di figli, legittimi o illegittimi, tanto il secondo è pio, o fintamente pio, amante della lettura, cerebrale, astuto, freddo e calcolatore, e con una discendenza così misera che, a più riprese, la sua linea rischierà di essere messa in second’ordine o persino andare ad estinguersi. Bernabò ha infatti avuto numerosi figli sia dalla moglie legittima, la superba Beatrice Regina della Scala, sua prima alleata nell’espansione territoriale verso est, sia dalle numerose relazioni adulterine, e ha assicurato a tutti posizioni di prestigio, distribuendo territori e nominando spesso i maschi capitani di ventura, o stipulando per le figlie matrimoni di prestigio accompagnati da cospicue doti.

È un osso duro da tutti i punti di vista, e non a caso è stato soprannominato “il diavolo”, sia dall’autore nel romanzo sia in alcuni episodi dell’epoca che lo vedono protagonista. L’autore difatti inserisce nella narrazione inserti desunti da novelle e leggende del Trecento e Cinquecento sulla figura di questo signore milanese, e che gli offrono l’escamotage per raccordare la narrazione.Celebri nei resoconti, ad esempio, sono i cinquemila cani che Bernabò teneva come gran cacciatore, e che però, non potendo mantenere di persona, distribuiva tra i suoi sudditi che dovevano crescerli ben pasciuti ma non troppo, pena punizioni severissime. Nel palazzo milanese di Bernabò ce n’erano talmente tanti che la sua abitazione era stata soprannominata la Ca’ di Can. Un’altra celebre testimonianza è l’incontro di Bernabò accanto al fiume Lambro con i due delegati papali, incaricati di portargli la bolla di scomunica, e che, davanti alla scelta tra finire nel fiume Lambro, probabilmente annegati, o mangiare il foglio (“la foglia” del noto detto), preferirono inghiottire i cartigli, con sigilli, cordicelle e tutto.

Gian Galeazzo Visconti,
ritratto attribuito ad Ambrogio De Predis

Dopo un periodo di lutto dovuto alla morte della prima moglie francese, che lo ha sprofondato in un’inazione molto pericolosa e lo ha portato a rinchiudersi nel suo castello di Pavia per dedicarsi a letture e caccia con il falco, Gian Galeazzo decide infine di passare all’azione. Tuttavia, il Conte di Virtù sa che scontrarsi direttamente con il potente zio ne farebbe un perdente in partenza. Comincia dunque a scavare per gradi il terreno sotto i piedi di Bernabò, Sarà un lavoro lungo e paziente, il suo, che richiederà molti anni, i consigli di una cerchia di fidati funzionari, e la tessitura di una serie di alleanze per ricevere un avvallo europeo al suo operato ed evitare problemi di successione quando sarà il momento di agire. E, come insegna la legge dell’evoluzione naturale, colui che è destinato a sopravvivere non è il più forte in termini di forza fisica, ma colui che meglio si adatta all’ambiente.

Ad attorniare i due protagonisti, tratteggiati in maniera straordinaria per psicologia, coloro che li spalleggiano e che riattizzano la corsa al potere, e all’estromissione e abbattimento del nemico, o vogliono vendicarsi per i torti subiti. Leggiamo così della moglie di Bernabò, Beatrice Regina della Scala, amata dal marito al punto da imporre ai suoi sudditi un anno di lutto stretto, e quindi il vestire di nero, dopo la sua morte, e della madre di Gian Galeazzo, l’ambiziosa Bianca di Savoia.

Ma c’è anche l’agire esplicito o, più spesso, nascosto dei personaggi cosiddetti minori, capitani di ventura, cavalieri, mugnai, streghe, alchimisti, aromatari, frati e inquisitori, vescovi, mercanti e truffatori, ladri e prostitute, astrologi, che ci restituiscono un quadro vivacissimo e crudo dell’epoca. Era un’epoca dove la vita contava poco o nulla, e si era sottoposti alle angherie e alla crudeltà del potente di turno. Tuttavia essa ha contribuito a rendere straordinaria Milano e il territorio milanese con castelli, fortificazioni, cinte murarie, e opere ingegneristiche come l’innovativo ponte di Trezzo sull’Adda.