La copertina del romanzo (e-book)
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Nell’ambito dei miei incontri con autori di qualità, oggi vi presento il romanzo Due vite possono bastare di Grazia Gironella, che l’autrice ha ambientato in una delle nostre città del nord Italia. Protagonista della storia è Goran, un giovane uomo reduce da un terribile incidente automobilistico, che sta cercando di riprendere il suo percorso esistenziale, diviso tra la gestione del suo negozio di antiquariato, la moglie Irene e rare amicizie. 
Pur essendo sopravvissuto all’incidente, però, Goran ha perso una parte molto preziosa della sua identità: il proprio passato. A causa della sua amnesia è costretto a gestire le sue relazioni sociali come se si muovesse in un territorio irto di mine che potrebbero scoppiare ad ogni passo falso. Fino a quando non cominciano a tormentarlo strani sogni, che sembrano acquistare forza man mano che il tempo passa…

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Ed eccovi l’intervista che ho fatto a Grazia, in cui le ho chiesto di rispondere ad alcune domande inerenti al romanzo, e non solo.

1. Ti ringrazio innanzitutto della disponibilità a rispondere ad alcune domande sul tuo romanzo. Vorrei chiederti come prima cosa se la storia è stata ispirata da un fatto di cronaca, o se è interamente frutto della tua fantasia.

Sono io che ti ringrazio per avermi proposto questa intervista. La scintilla iniziale di Due vite possono bastare è nata dall’incontro tra due elementi: la scoperta delle condizioni di vita nella Finlandia dell’Ottocento e la curiosità verso l’amnesia. Mi sono spesso domandata quanto si debba sentire smarrita una persona obbligata a rinascere da adulta, per così dire. C’è così tanto nella vita di ognuno, nel bene e nel male, che è difficile immaginare come si possa ripartire da zero. A un certo punto mi sono trovata alle prese con il classico “what if…?”: cosa succederebbe se il paziente recuperasse brandelli di memoria, ma scoprisse che non gli appartengono? Con mia sorpresa, è balenato un nesso con lo spunto finlandese, e ho pensato: qui c’è una storia. A quanto pare c’era davvero.


2. Oltre all’ambientazione italiana, hai scelto una nazione poco conosciuta ma molto affascinante, soprattutto dal punto di vista naturale: la Finlandia. Come mai la tua preferenza è ricaduta proprio su questa terra?

Qualche anno fa sono andata con la famiglia a Capo Nord in camper, risalendo Svezia e Norvegia e rientrando attraverso la Finlandia. Quei panorami magici e selvaggi mi hanno letteralmente catturata. Un giorno abbiamo fatto visita alla ricostruzione di un villaggio dell’Ottocento con mobilio e oggettistica d’epoca, accompagnati da una guida che raccontava le condizioni di vita di quel periodo, molto duro per via del clima e della povertà. Alcuni aspetti, che poi si ritrovano nel romanzo, non ne volevano sapere di finire dimenticati. Petri – l’antagonista di Goran, che antagonista non è – ha iniziato a respirare lì.

Paesaggio invernale finlandese

3. Il protagonista Goran è affetto da amnesia in seguito ad un incidente stradale. Hai trovato difficoltà nell’immedesimarti in un uomo afflitto da questo disturbo della memoria? A parte le inevitabili ricerche medico-scientifiche, quali espedienti hai utilizzato per riuscire a vedere il mondo come lo vede lui?

Non mi è stato difficile immedesimarmi in Goran. Anche se non ho avuto esperienza diretta o indiretta di questo disturbo, la sensazione di straniamento rispetto al mondo esterno la conosco. Dopo un’infanzia solitaria, quando sono uscita dal guscio ho impiegato parecchio tempo a capire come funzionassero i rapporti, cosa fosse considerato normale e cosa no. Nel descrivere Goran credo di essermi ricollegata a quelle sensazioni di estraneità.


4. Grande importanza hanno i personaggi che fanno da corollario a Goran, che cercano di aiutarlo o dominarlo. Sono nati insieme a lui oppure sono arrivati in un secondo momento? A quali sei più affezionata e con quali hai avuto più problemi nella gestione?

Come dicevo, la storia è nata con un Petri appena abbozzato, cui si è accostato Goran, che ha subito assunto il ruolo di protagonista. A quel punto mi sono domandata chi potesse fare parte del suo mondo, e Irene (sua moglie) si è dimostrata la figura ideale per fare risaltare il problema centrale. Quando perdi la memoria, i familiari stretti sono quelli che più ne subiscono i contraccolpi. Gli altri personaggi si sono aggregati per logica. Nessuno di loro mi ha presentato veri problemi, ma le figure di donna sono sempre ostiche per me, perciò ho dovuto lavorare molto su di loro per evitare il rischio-cliché. Mi è difficile dire quali siano i miei personaggi preferiti, ma di sicuro il podio se lo spartiscono Nico, Goran e Petri.


5. Ho notato un forte contrasto tra due gruppi di personaggi: quelli più condizionati dalla cosiddetta civiltà urbana con i suoi riti sociali e le sue ipocrisie, e quelli più legati alla natura e alle sue regole non scritte, spesso dure e selvagge. Che cosa ti hanno regalato questi personaggi così differenti?

Ti ringrazio di avermi fatto scoprire questo contrasto, che non avevo colto ma è importante. I personaggi urbani e condizionati sono il mondo che sento più estraneo, mentre quelli legati alla natura sono il mondo che sento mio. Avverto molto il divario tra quella che considero la natura profonda dell’uomo e le sovrastrutture e gli orpelli di cui si è caricato nel corso della civiltà, che lo inquinano e talvolta lo soffocano. Il mio, però, non è un vagheggiamento di ritorno al passato e alla natura dura e selvaggia cui accenni, quanto piuttosto una speranza di evoluzione nella direzione giusta.


6. Un altro incontro-scontro nel romanzo è quello che avviene tra le due “metà del cielo”, cioè i personaggi maschili e quelli femminili. A me è molto piaciuta la ragazzina Nico, con la sua fame di affetto e le sue potenzialità, ma anche la moglie di Goran, che si potrebbe classificare come donna dominante. A livello narrativo, come possiamo descrivere uomini e donne che spesso entrano in conflitto, o non si comprendono, senza cadere nello stereotipo?

Difficile! Il modo migliore per evitare gli stereotipi è sfruttare i cliché legati al genere quando questo è vantaggioso per la storia, ma sforzarsi di andare oltre per vedere uomini e donne come individui a sé stanti.

Nico, come ho già detto, è un personaggio cui tengo molto. Lei è nata fatta e confezionata. Non mi sono mai dovuta chiedere come si sarebbe comportata nelle varie situazioni, perché lo sapevo già. È stato l’incontro con Nico a rafforzare la mia decisione di tentare la via dei romanzi per ragazzi.


Ritratto di Zborowski
di Amedeo Modigliani (1916)
Pinacothèque de Paris /Fabrice Gousset

7. A parte la riscoperta di un passato perduto, nel romanzo è evidente il tema del viaggio, inteso non solo come spostamento fisico ma come riscoperta interiore. Secondo te ritrovare il passato, che sia proprio o di altri, è sempre portatore di positività? Quali sono i rischi in un caso o nell’altro?

Il passato ci insegna e in parte ci determina, ed è alla base del presente e del futuro, quindi mi guardo bene dal negarne l’importanza. Per carattere e per scelta, non gli lascio molto spazio. In alcuni momenti è fondamentale guardare indietro per sciogliere i nodi che ci bloccano oppure per ricavarne spunti e incoraggiamenti, ma secondo me questo non dovrebbe assorbirci troppe energie. Credo molto nel non abdicare al “qui e ora” per soffermarsi sul passato o rincorrere il futuro.


8. Per dirla con Pirandello, “Imparerai a tue spese che lungo il tuo cammino incontrerai ogni giorno milioni di maschere e pochissimi volti.” Nel romanzo è forte la differenza tra l’io sociale e l’io interiore, derivato proprio dalla condizione del protagonista. Secondo te… ci vuole sempre un trauma per cominciare a riflettere sulla propria esistenza?

Per fortuna no! È una questione di occasioni e anche di carattere. C’è chi ha la ricerca come tratto costante della personalità, e allora passa da una domanda all’altra finché non trova una traccia da seguire; ma anche chi questa esigenza la sente meno forte può essere “messo in moto” da una lettura, un film, una conversazione. Abbiamo tutti l’impulso a evolvere, perciò incontriamo gli strumenti che ce lo permettono.


9. Sono rimasta molto colpita dall’abilità con cui incastri le varie tessere della storia, che alla fine compongono un mosaico dove tutto torna al suo posto. Quando inizi a scrivere, hai chiara in mente tutta la struttura, oppure la completi e la modifichi man mano?

Non mi piace navigare a vista, con il rischio di essere costretta in seguito a riscrivere mezza storia. Per questo faccio una pianificazione abbastanza accurata, lasciando però spazio all’improvvisazione; per esempio affronto ogni nuovo capitolo sapendo cosa succederà, ma non dove e come. Alla fine spuntano sempre piccoli aggiustamenti rispetto alla pianificazione, e anche qualche vero cambiamento, ma mi sembra che questo metodo funzioni.


10. Quanto tempo hai impiegato nella stesura e nella revisione del romanzo fino a fargli assumere la sua veste definitiva? Riesci a lasciar andare un romanzo una volta terminato e dato alle stampe, o mantieni comunque una sorta di cordone ombelicale?

Due vite possono bastare ha richiesto all’incirca cinque-sei mesi per essere completato, ma non ricordo quanto sia durata la fase preliminare di elaborazione dell’idea. Trovo difficile fare modifiche di vasta portata durante la revisione, perciò cerco di sopperire a questa mia rigidezza fantasticando a lungo prima di iniziare a scrivere. Prendo decine di fogli di appunti, sempre scritti a mano, in vari colori e su carta di recupero. Ho scoperto che questo mi aiuta a lavorare sulle idee.

Una volta deciso che il romanzo è pronto a tentare le strade del mondo, dopo la lunga revisione di rito, lo libero e non ci penso più… salvo arrovellarmi sulle difficoltà di pubblicazione. Mi è facile il distacco emotivo, perché già durante la revisione inizio a lavorare sulle idee per il romanzo successivo. Questo serve anche ad alleggerire la fatica della revisione, che non regala le stesse emozioni della creazione pura.


11. Per concludere, vorrei chiederti quali sono i tuoi progetti in corso, oppure nel cassetto, in ambito letterario!

È appena uscito nelle librerie La via delle parole, un mio saggio su creatività e scrittura. La prima parte del libro prende in esame lo scrivere come strumento di crescita personale e di risveglio della sfera creativa, mentre la seconda parte è incentrata sull’esperienza dello scrittore che si rivolge al pubblico, con i suoi problemi e le sue debolezze… e le sue gioie, si spera!

A parte questo, ho un romanzo per adolescenti in valutazione presso alcuni editori e ne sto scrivendo un secondo. In effetti ciò che scrivo non resta a lungo nel famigerato cassetto! Ho diversi lavori inediti, ma tutti hanno cercato o stanno cercando la loro strada. Spero che la trovino, e che sia una strada solida.

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Grazia Gironella (Bologna, 1963) vive in
provincia di
Pordenone e si dedica a tempo pieno alla famiglia e alla
scrittura. Ha
pubblicato il racconto lungo Tarja dei
lupi
(Tabula Fati, 2008), il manuale di scrittura Per scrivere bisogna sporcarsi le mani (Eremon,
2011) e il romanzo Due
vite possono bastare
(IoScrittore,
2013 – ebook). Di recente è uscito nelle librerie il suo saggio
La via delle parole (Eremon,
2015). È attiva
in rete con il blog ScriverÈVivere
(http://www.scriverevivere.blogspot.it).