ripete sempre lo stesso verso nel mio post precedente (leggi: i temi ricorrenti e le ossessioni personali dello scrittore – lo trovate qui se lo avete perso),
mi è venuta l’idea di capovolgere i termini della questione e parlare del suo contrario,
cioè dei temi non ricorrenti. Per far questo utilizzerò l’immagine del pesce
rosso che, come tutti sappiamo, di sua natura non è certamente un logorroico,
almeno per quello che ne sappiamo noi esseri umani.
due grandi gruppi, perché ci sono dei temi che tendo a trascurare in quanto
sono ignorante in materia o perché mi annoiano e quindi, nella mia pigrizia, li
salto a piedi uniti; e il gruppo “zoccolo duro” di quelli che invece non tratto
volutamente e a cui mi oppongo con tutte le mie forze.
Partiamo con il primo gruppo, cioè i TEMI TRASCURATI:
sublime linguaggio universale, ma ebbi dei traumi a scuola alle medie sulla parte tecnica.
La suora che ci insegnava musica, madre Radice (un nome più degno di un’insegnante
di matematica, materia che peraltro con la musica ha molto a che fare), sottoponeva
noi sventurate a lunghi esercizi scritti con spartito musicale e le note, e ricordo
che non capivo un accidente. Ma adoravo ascoltare musica, e l’adoro tutt’oggi,
e ascolto tutto con esclusione di un
certo heavy metal perché mi fa venire mal di testa. In altre parole, ero e sono
rimasta un’ignorante patentata, e per me il “si bemolle” potrebbe essere una
sciarpa come un soufflé, o una qualsiasi altra cosa che sia soffice e cedevole.
Suonatori del XIV secolo in un dipinto di Simone Martini |
del tutto inadatti a suonare uno strumento. Forse questa trascuratezza dipende anche dal fatto che non è stato ancora inventato un romanzo multisensoriale, ma non dubito che ci arriveremo, quindi “non è necessario” inserire brani musicali. C’è da dire che
quando scopro questa carenza nei romanzi, cerco di porvi rimedio e di fare
delle ricerche, e alcuni personaggi rivelano poi un grande talento nel suonare gli strumenti della loro epoca. Però non potrei mai scrivere un romanzo che abbia come protagonista un musicista a tutto campo, come ad esempio Mozart, questo è certo.
politica, per come è ridotta ora in Italia, mi annoia e mi indigna nella vita quotidiana, figuriamoci inserirla nei romanzi.
Yawn! Lunghi dibattiti con cortigiani, re, funzionari, ministri, spie, che colmano di
sofismi i loro discorsi, annoierebbero me e, di conseguenza, il lettore; nel
senso che percepirebbe la mia ritrosia nel trattarlo e il fatto che ne sto scrivendo solamente perché mi tocca. Eppure anche la politica
è molto importante in un romanzo storico, specie se tesa all’intrigo e alla
macchinazione, sempre ad opera dei miei perfidi di fiducia.
amministrative e contabili – Si tratta delle materie per me più ostiche,
eppure basilari per dare credibilità ad una narrazione. Non ho la preparazione
necessaria e, se posso, tendo a sorvolare o a inserire quello che è veramente
necessario, anche per non appesantire. Nel mio romanzo “Il Pittore degli Angeli” ho inserito un breve passaggio dal libro dei conti che Tiziano teneva a casa sua, in quanto gettava una luce molto significativa sul personaggio, sui suoi guadagni e sui rapporti che aveva con coloro che gli commissionavano le opere.
Stesso dicasi per il denaro, definito nel Medioevo “lo sterco del demonio”. Se pensiamo che all’epoca esistevano una valanga di tipi di monete a seconda della zona geografica! Io non so mai
come devo regolarmi, e dove andare a reperire le fonti. Peraltro, dopo aver trovato una fonte attendibile, tendo a dimenticarmene l’istante successivo.
Già mi manda in crisi descrivere una battaglia o anche un combattimento in
singolar tenzone, o un torneo cavalleresco, non parliamo poi di mettermi a studiare, cartina
alla mano, il numero dei soldati, il tipo di forze in campo, i movimenti delle
truppe, la natura del terreno, quando è meglio attaccare, quando è meglio non
farlo bla-bla. Dopo alcuni minuti crollo con la fronte sul saggio o sulla
cartina, e mi metto a russare sonoramente. Se poi devo inventare una battaglia
ex-novo, o una scaramuccia, preferirei che i miei personaggi si dedicassero a
sbucciare le patate in cucina.
per niente un tipo sportivo, e i miei personaggi mi riflettono in pieno.
Ovviamente scrivo di Medioevo, per cui certamente devono fare sport se non
altro per rimanere in groppa a un cavallo, ma se possono rimanersene comodamente seduti nello
scranno accanto al fuoco, con una coppa di buon Borgogna e una bella fanciulla appollaiata sulle ginocchia, vi rimangono eccome.
zombie, licantropi ecc. – Non scrivendo al momento romanzi horror, non mi acchiappano particolarmente vampiri e zombie, mentre mi affascinano molto spiriti e fantasmi. Non è escluso
che, un domani, possa scriverne, al momento però i mostri c’entrerebbero come i cavoli a merenda nella mia narrazione, e quindi li metto nell’elenco come voce di riserva.
compresi i cattivi, in una zona rarefatta dove bene e male raggiungono vertici
inarrivabili. Non concepisco i cattivi a tutto tondo, e uno dei motivi in
cui “Il Trono di Spade” inteso come serie
televisiva (non ho letto i numerosi
libri di Martin) mi aveva stufato era il sovraffollamento di personaggi
malvagi, ma monolitici; e anche i cosiddetti buoni non è che mi affascinassero
più di tanto. Non è un caso che il personaggio che mi piaceva di più in
assoluto, nella serie, era il nano Tyrion, che da solo valeva l’intera visione. Dunque, i miei perfidi le studiano a tavolino,
sono complessi, sfumati, diabolici e intelligentissimi e anche quando sembrano
redenti fingono spudoratamente. Nel mio romanzo sui crociati, ci
sono anche dei cattivi rozzi, ma sono comunque ingegnosi e ricchi d’inventiva,
e spesso simpatici.
Il disperato (Autoritratto) di Gustave Courbet, 1844-1845. Lo scrittore allibisce e ammutolisce di colpo… |
cerco di evitare che i miei personaggi dicano parolacce, perché appunto sono personcine
bene educate. Nel mio romanzo “Gli Immortali” concluso alcuni anni fa, e che
sto ora rivedendo (una lunga carrellata di trecento anni dal periodo
post-Rivoluzione Francese fino all’America dei giorni nostri), nelle parti
moderne ambientate a New York ho inserito qualche parolaccia tanto per fare
colore, e comunque mai in bocca ai protagonisti, che continuano a veleggiare
nel loro mondo superno, e ad affrontarsi con la classe che li contraddistingue.
– Siamo tutti d’accordo sul fatto che siamo schiavi del nostro corpo, e che
persino la donna più bella del mondo prima o poi deve espletare le sue
funzioni corporali, ma perché dobbiamo andare a specificarlo anche in un
romanzo? So benissimo che i miei eroi dovranno usare il pitale sotto il letto o rannicchiarsi
in un cespuglio servendosi di foglie per pulirsi, possibilmente non di ortica, ma perché descriverlo compiacendosi del dettaglio? (Mentre approfondisco volentieri tutto quello che ha a che fare con la medicina e la cura del corpo e delle malattie…)
molti anni fa stavo leggendo “L’amore ai tempi del colera” di Marquez, un
romanzo bellissimo, ed ero giunta alla descrizione di una scena d’amore in un
giardino. A un certo punto leggo qualcosa come: “L’uccello cagò dall’albero…” e
tutta la mia poesia cade in frantumi con un sonoro schianto, insieme al guano
del volatile. Una mia amica mi ha raccontato di un famoso scrittore (Cornwell) che, nel
descrivere storie ambientate all’epoca dei Celti, dice che i protagonisti maschili sputacchiano continuamente per cacciare gli spiriti
maligni e si strizzano con vigore le parti basse. Va bene una volta o due, ma perché
descriverlo a ogni momento della narrazione? Abbiamo capito. A meno che non stiamo scrivendo un
romanzo virato sul grottesco, e allora l’intento è differente.
Bene, ora che ho vuotato il sacco parlandovi delle mie forme di pigrizia o di avversione… Che mi dite delle vostre? Ne avete altre, diverse dalle mie, o vi ritrovate in alcune che vi ho descritto?
***
Il blog Il Manoscritto del Cavaliere sospende le pubblicazioni per una decina di giorni in occasione delle festività per darvi tempo di commentare quest’ultimo post, se lo desiderate, e a me di preparare nuovi articoli. Vi auguro dunque BUON 2015 e vi do appuntamento al nuovo anno con post nuovi di zecca.
Come non essere d'accordo con te? Per quanto riguarda la serie di argomenti "difficili" però, nulla impedisce allo scrittore di avvalersi della consulenza di esperti che spesso si accontentano di essere citati nella pagina dei ringraziamenti (l'ho constatato spesso, anche da parte di Scrittori con la S maiuscola). Quanto alle idiosincrasie, anche quelle condivisibili, personalmente ci aggiungo le scene erotiche che trovo noiosissime: perché fare l'anatomia dei sentimenti con tanto di particolareggiate descrizioni? Io penso che basti poco per rendere l'idea. Così è se vi piace. E per finire auguro a questo blog un 2015 scintillante.
Cara Nadia, grazie mille del tuo commento.
Hai ragione sugli argomenti difficili, io stessa cerco di chiedere agli esperti quando mi trovo in difficoltà. Più che altro volevo dire che incentrare un intero romanzo su un personaggio che opera in un campo totalmente lontano dai propri interessi equivarrebbe a un suicidio, oltre che a una fatica inutile. Nel mio caso potrebbe essere anche un matematico, ad esempio.
Sono perfettamente d'accordo sulle scene erotiche descritte nei minimi dettagli: rischiano di arrivare al ridicolo o al comico involontario, e la stessa cosa succede nei film se ci pensi. Inoltre il lettore attento capisce se la scena di sesso è inserita in maniera funzionale, o se è stata messa solo per fare audience.
Alla prossima, e grazie per gli auguri al blog!
Temi trascurati non ne ho, per il momento, a parte i mostri, licantropi ecc… nemmeno a me piace il genere fantasy.
La musica è importantissima nel mio romanzo, dal momento che il protagonista è/era (ci sono due piani temporali diversi) membro di una rock-band.
Lo sport è menzionato a grandi linee (per la serie "tizio è uscito a fare jogging") mentre la politica entra di soppiatto, senza diventare il centro delle vicende. Dal momento che la trama si dipana tra il 2000 e il 2015, qualche cenno su ciò che è successo in Italia devo pur darlo. Ho assegnato questa responsabilità ad un personaggio abbastanza "convinto", il giornalista di sinistra che ho citato nel tema sui post ricorrenti.
Il turpiloquio lo uso se pertinente con il personaggio. Il mio protagonista è cresciuto in un contesto ostile da cui vuole riscattarsi, quindi l'evoluzione del suo linguaggio mi serve anche ad evidenziare il suo progressivo cambiamento.
Le funzioni corporee le ho menzionate solo una volta: un ubriaco faceva pipì contro un albero, al parco. Mi rendo conto ora che il personaggio è negativo. Solo gli antagonisti sono evidenziati in situazioni di questo tipo!
Non so se riuscirò a fare un "meme" anche di questo post… però mi sta venendo un'altra idea! 😉
Cara Chiara,
grazie di essere passata con il tuo commento. Probabilmente tutto quello che è funzionale alla narrazione e serve davvero può entrare a pieno titolo, quindi ovviamente se si parla di un ambiente sociale squallido o di una persona negativa, ben venga la scena con funzioni corporali o parolacce. Quello che a me personalmente disturba è lo stile di certi scrittori, che sembrano monotematici. Oppure, nell'ambito di una descrizione come quella che avevo letto in Marquez (che adoro), la nota stonata che interrompe o non si capisce perché sia stata inserita.
Mi fa piacere che tu abbia avuto delle idee per un altro post! A presto, allora, e buon proseguimento di feste. 🙂
Mi è piaciuto molto questo post, interessante e divertente al tempo stesso. Fatico a mantenere la suddivisione tra temi ignorati ed evitati, che mi sembrano comunque espressione di qualche mia resistenza, perciò ti elenco semplicemente i temi che "casualmente" non rientrano quasi mai nei miei scritti: la vita sociale spassosa (feste, cinema, discoteche, che per me non esistono proprio), la gravidanza e la cura dei bambini piccoli, la malattia, la vecchiaia, la violenza più cruda (in particolare verso animali e bambini) e il sesso più esplicito. L'istinto mi porta a scrivere (e leggere) storie che portino attraverso l'inquietudine alla positività. Non sento l'esigenza di essere fedele alla realtà anche nei suoi aspetti più bui, come spesso sento dire da altri scrittori. Non che non li veda, ma non sento il bisogno di soffermarmici. La realtà così com'è mi interessa solo come punto di partenza per andare oltre (e di questo mi accorgo solo ora che sto scrivendo qui, pensa un po'! :))
Cara Grazia, grazie mille di essere passata con il tuo commento.
Anch'io nel fare l'elenco ho scoperto moltissime cose sorprendenti. Con riferimento al tuo elenco, faccio fatica anch'io a parlare di malattia, specie gravi, mentre evito proprio la violenza cruda e il sesso esplicito. Ad esempio non riesco a sopportare la descrizione delle scene di tortura (e avrei dovuto inserirlo nell'elenco, ora che mi ci fai pensare!) in narrativa come nei film. Un romanzo che mi aveva sconvolto, infatti, è "1984" di Orwell.
Per una che, come me, scrive quasi esclusivamente romanzi storici, la realtà così com'è non esiste proprio! 🙂
Bellissimo post! Sai che ho anch'io lo stesso rapporto con la musica, colpa anche di una prof (Cavalca Erbetta, anche lei con un nome mica male) che ci faceva studiare tutto a memoria e ci assegnava complicatissimi esercizi di composizione…
I miei temi aggirati o volontariamente evitati, invece, saranno in un post del 2015. Alcune cose devo ancora metterle a fuoco…
Mica male Cavalca Erbetta, ma che nomi avevano le nostre prof a scuola? Alle medie la mia prof di Lettere era madre Motto, un nome che era tutto un programma (però era una bravissima insegnante…).
Mi fa piacere averti dato un'idea per il post del 2015, leggerò volentieri delle tue resistenze letterarie. A presto, allora.