La copertina del romanzo,
edito da Interlinea.
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Sul lago d’Orta una piccola comunità è sconvolta dal suicidio di un adolescente. Due sole persone dubitano che le cose siano proprio come sembrano: un compagno del ragazzo morto e il nuovo parroco del paese. Due opposti modi di vedere il mondo stretti in un’inedita alleanza per svelare un mistero che va infittendosi quando nella basilica vicina sparisce il teschio di un santo. Sulle orme di Fred Vargas, un romanzo d’esordio con qualche tono di giallo dove le digressioni contano quanto gli indizi. Dove la descrizione della realtà, nei suoi risvolti di attualità sociale, si mescola all’immaginario in una geografia costruita tanto su luoghi reali fedelmente descritti quanto sulle loro leggende.

Questa la sinossi del romanzo La roccia nel cuore di Antonella Mecenero, una storia scritta con grande rigore linguistico, tempi tecnici perfetti e, nello stesso tempo, appassionante e intrigante come un vero giallo deve essere. L’autrice ti prende per mano e ti conduce con grande abilità nei meandri di una storia geometrica dove, quasi fino alla fine, nemmeno il più esperto dei giallisti riesce a capire che cosa sia veramente successo. Confesso la mia difficoltà nello scrivere recensioni di gialli, perché mi sembra sempre di rivelare troppo e di rendere un cattivo servizio all’autore – e al lettore! – e vi propongo subito l’intervista con le domande che ho rivolto ad Antonella, non solo in merito al suo romanzo ma anche alla sua visione della scrittura in generale. Lascio quindi la parola a lei molto volentieri.

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1. Prima di entrare nel vivo del romanzo, vorrei farti innanzitutto una domanda sul tuo rapporto con la scrittura in generale, e con il genere del giallo in particolare. Che cosa significa scrivere per te e quali letture alimentano questa passione?

Penso che la scrittura per me sia la realizzazione di due distinti desideri. Da una parte amo le storie, amo condividerle e, quando non ne trovo di mio gusto, ne invento una che si adatti al mio umore. Il secondo desiderio è quello di vivere vite non mie, staccarmi dal mio modo di vedere il mondo per prendere in prestito gli occhi di qualcun altro. Scrivere permette di fare entrambe le cose: inventare storie e osservarle con gli occhi dei loro protagonisti!

Quanto al giallo, invece, mi piace come convenzione narrativa. Si stringe un patto preciso tra autore e lettore che è più forte rispetto a quello che si stipula scrivendo altri generi. Come autrice sfido il lettore a trovare l’assassino prima che io glielo riveli e mi impegno a fornire un enigma stimolante. In cambio, il lettore mi seguirà attraverso luoghi, tempi e tematiche di mia scelta e che magari non sono quelli che il lettore si aspettava.

2. La roccia nel cuore è un romanzo giallo ambientato sul lago d’Orta, cioè in luoghi che conosci molto bene. Come è nata in te l’idea di questa storia dal contesto “domestico” e come si è sviluppata nel tempo?

Collaboro con un’associazione, Ecomuseo del Lago d’Orta, che mi ha permesso di conoscere anche gli angoli più segreti e nascosti della mia terra. Proprio preparando alcune manifestazioni dell’associazione è nata l’idea di rendere il lago e in particolare la sua sponda meno famosa il cuore geografico e affettivo della narrazione.

3. Nel romanzo è evidente l’affetto che porti ai luoghi descritti. La visione del lago d’Orta e dei suoi colori, dei paesi che vi si affacciano, delle montagne e dei boschi, è di una bellezza struggente e invoglia certamente a visitarlo. Eppure l’ambiente lacustre non è popolare come quello marino, ad esempio. Che cosa ti trasmette il lago sia come essere umano che come scrittrice?


Del lago mi colpiscono molti aspetti, ma due sono quelli che hanno messo in allerta i miei sensi di narratrice. Da una parte la varietà di paesaggi e suggestioni che si rincorrono in pochi chilometri. Si passa, ad esempio, dall’opulenza un po’ decadente delle ville e dei grandi alberghi di Orta ai ricordi ancora vividi della povertà della vita degli scalpellini, sull’altra sponda. Sono due mondi del tutto diversi e che pure convivono fianco a fianco.

La seconda suggestione è che il lago d’Orta è in apparenza piccolo e placido. In realtà in alcuni punti supera i 100m di profondità e ha un ricambio d’acqua molto lento. Vuol dire che sotto la superficie stanno abissi freddi e antichi, in cui si è sedimentato, senza scomparire, tutto quanto è accaduto in passato. E questa immagine è uno splendido spunto narrativo, sopratutto per chi, come me, voglia indagare segreti sepolti e dimenticati.

4. Come Fred Vargas, anche tu lavori su dettagli storici-culturali essenziali al lettore per comprendere la dinamica dei fatti. Nel caso specifico si tratta soprattutto della chiesa dedicata a san Giulio e della sparizione del suo teschio. Il santo diventa quasi parte attiva durante le vicende, o sbaglio? E quanto è importante, per te, inserire storie e leggende nella costruzione dei tuoi gialli?

San Giulio e i draghi
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Per
formazione sono un’archeologa e quindi la storia e la memoria per me sono un
punto fondante nella costruzione di un’identità. Quasi sempre, quindi, la
storia è alla base della mia scrittura. In questo caso, poi, c’è il mio amore
particolare per la leggenda di san Giulio. Come molti santi, anche Giulio
incontra i draghi, ma non li uccide. Parla con loro e li allontana dall’isola
(la leggenda precisa che almeno un drago prende poi dimora in una grotta lì
vicino). Ho pensato che oggi abbiamo bisogno proprio di persone così, in grado
di identificare i draghi e di allontanarli parlando con loro.

5. Un aspetto classico ne La roccia nel cuore è la differenza tra quello che appare, e cioè una piccola comunità tranquilla sulle rive di un lago, e quello che veramente si muove dietro le quinte. Hai constatato tu stessa questa discrepanza nella vita quotidiana, al di là dei luoghi specifici, anche solo a livello di sensazione?


Come dicevo la suggestione viene proprio dalla natura stessa del lago e dalla differenza tra la superficie placida e la profondità oscura che nasconde. Spesso, purtroppo, è così anche nella vita. Io rimango sempre ferita quando scopro quanti abissi di infelicità possano esserci dietro esistenze in apparenza serene. Purtroppo questo è qualcosa di cui tutti, temo, abbiamo fatto esperienza.

6. Nella scrittura di un romanzo, a qualsiasi genere appartenga, c’è sempre una mescolanza di dettagli storici o di cronaca reale con la parte di pura immaginazione. Come scrittrice hai mai avuto la sensazione di trascendere il labile confine tra questi due aspetti?

Mi pongo molto il problema etico che sta alla base della narrazione storica: dove deve iniziare l’invenzione? Secondo me dove c’è una fonte, questa va seguita. Se come autore presento un dato come reale, il lettore deve poterlo prendere con sicurezza, fidarsi di me e del lavoro di documentazione svolto. Solo dove non abbiamo certezze, in quelle pieghe scure della storia, allora si può inventare qualcosa che forse non è stato, ma avrebbe potuto essere.

7. Nella storia viene presentata la figura dell’investigatore proveniente da un ambiente apparentemente lontano dai problemi delle persone comuni, e cioè un sacerdote erudito: Padre Marco. Nonostante la sua predilezione per i libri antichi, o forse proprio per questo, il suo acume rispetto a persone e moventi si rivela determinante per la risoluzione del mistero. Come hai costruito e immaginato questo tuo personaggio? Rispecchia qualcosa di te?

Il tutto è nato dall’infelice definizione dei politici “con la cultura non si mangia”, a significare l’inutilità dell’erudizione. Ma la cultura, che sia storica, letteraria o scientifica insegna un metodo di pensiero ed è strumento per interpretare la realtà. Quindi, proprio perché erudito, Padre Marco riesce a capire quello che gli sta intorno!

8. Nel romanzo cogli con grande acutezza il mondo degli adolescenti, che a molti risulta oscuro e incomprensibile. Molto toccante è la frase sul rischio di ferire un ragazzo tradendo la sua fiducia, perché nell’adolescenza il senso etico è vivo e intransigente. La stessa cosa, sebbene in maniera differente, succede con i bambini, che sono scandalizzati dalla mancanza di onestà e dall’incoerenza degli adulti. In quale modo sei riuscita a offrire un ritratto così efficace?

Ho il dubbio privilegio di lavorare, in quanto insegnante, con i preadolescenti. E mi rendo conto ogni giorni di quanto sia forte per loro il senso di giusto/ingiusto. Spesso è mal indirizzato e a volte mancano loro gli strumenti per un giudizio sereno e tuttavia il senso etico in quell’età è fortissimo e spesso i ragazzi vivono il cinismo degli adulti come una tortura costante.

A volte mi sembra quasi che, da parte degli adulti, addossare ai giovani più colpe di quante non ne abbiano sia una sorta di alibi, una difesa nei confronti dell’adolescente che loro stessi sono stati e che hanno tradito. Infine, gli adolescenti sono forse la categoria che è più oggetto di banalizzazione e frasi fatte. I “giovani di oggi” sono sempre peggio di quelli di ieri, peccato che si dicessero le stesse cose già nell’antichità. Oggi, come in passato, ci sono adolescenti pieni di voglia di fare, in grado di guardare la realtà con occhio critico e consapevole e nel mio romanzo volevo dare voce anche a loro.

9. Per concludere, ti chiederei di raccontarci quali sono i tuoi progetti in cantiere… ad esempio so che è imminente l’uscita di un tuo nuovo romanzo. Vuoi dirci qualcosa in merito?

Sì, molto presto sarà in tutte le librerie e, in versione e-book, in tutti gli store on-line Sherlock Holmes e il mistero dell’uomo meccanico.

Più che un apocrifo rivolto agli appassionati, io lo considero un giallo storico con protagonista Sherlock Holmes. Per puro caso, infatti, mi sono imbattuta in una storia reale, triste e meravigliosa, avvenuta nella seconda metà dell‘800. Volendola indagare, quale genere poteva essere migliore del giallo? E, iniziando a immaginare un giallo a fine ottocento, perché non andare a chiedere aiuto a Baker Street? Dopo tutto non aveva senso cercare un surrogato, quando si poteva avere il re di tutti gli investigatori.

È
nata così una storia che è stata per me una sorpresa continua, un giallo che si
dipana in un mondo in cambiamento  in cui
gli stati stessi iniziano a rendersi conto che non è il dominio delle terre, ma
quello delle tecnologie a ridefinire gli equilibri di potere. In queste lotte a
rischiare di essere schiacciati sono gli stessi uomini d’ingegno, le cui
invenzioni possono essere rubate, nascoste o, peggio, riconvertite a scopi del
tutto estranei allo spirito con cui erano state ideate. Sulle tracce di alcune
di queste invenzioni c’è un Sherlock Holmes appena ventisettenne, aiutato quasi
per caso dal coinquilino da poco trasferitosi a Baker Street, un dottor Watson
appena tornato, ferito nel corpo e nell’anima, dall’Afghanistan. Due giovani
che stanno ancora cercando il loro posto nel mondo e che si scopriranno
complementari.

Ringrazio dunque Antonella per aver
risposto alle mie domande e le faccio i miei migliori auguri per il suo futuro!


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Vi invito anche a visitare il suo
blog
http://inchiostrofusaedraghi.blogspot.it/ dove troverete non solo post
sull’argomento scrittura e dintorni, ma anche racconti. Cliccate sul
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storico La donna col liuto.