La copertina del romanzo, edito da Graphofeel. |
Guido Verona, che adottò lo pseudonimo di Guido da Verona, optando per una versione medievaleggiante del suo cognome, fu uno degli autori più venduti del Ventennio. Il suo successo, nell’ordine delle centinaia di migliaia di copie, fu tanto più straordinario in un periodo in cui la maggior parte degli italiani era analfabeta. Tanto per fare qualche cifra, L’amore che torna vendette 150.000 copie nel 1908, mentre Colei che non si deve amare ne vendette ben 220.000. Mimì Bluette fiore del mio giardino raggiunse l’iperbolica cifra di 300.000 copie nel 1922.
Dobbiamo aggiungere che, nonostante il suo successo commerciale, egli non fu messo al riparo dalla violenza di un’epoca feroce. Pur avendo firmato nel 1925 Il Manifesto degli intellettuali fascisti, nel 1930 pubblicò una versione satirica de I Promessi Sposi dove si faceva gioco dello stile fascista e della morale cattolica. Il romanzo scomparve nel giro di poche ore dalle librerie, le copie vennero date dalle fiamme e Guido venne aggredito e bastonato. Finì per suicidarsi nel 1939.
Fu sempre considerato dagli intellettuali dell’epoca uno scrittore di second’ordine. I suoi romanzi, dove un erotismo raffinato si mescolava al divertimento di situazioni e dialoghi, erano reputati validi solo per un pubblico femminile dalla cultura limitata, composto per lo più da “sartine”. Eppure questo suo Cléo Robes et Manteaux, pubblicato nel 1926 ed ora riproposto dalla Graphofeel Edizioni, nonostante il tono scanzonato, rivela più di una sorpresa. Innanzitutto, nel tratteggiare una figura femminile libera, anticonformista e indipendente in un’epoca in cui la donna poteva solo aspirare al ruolo di moglie e madre o, al massimo, di mantenuta di qualche gerarca.Non è una femminista, Cléo, ma scrive rivolgendosi al genere maschile: “Ci avete fatto lavorare nei vostri uffici e nei vostri laboratori, ci avete spiegato cos’è l’affare, cos’è la forza, cos’è il piacere, cos’è l’indipendenza, cos’è la dura giornaliera inebriante lotta per la vita: e poi vorreste, per caso, che quando a voi fa comodo ci tornassimo ad accontentare della clausura, dello sbadiglio e del ferro da stirare?”
L’inizio del romanzo è presto detto: il Conte Consalvo Malachia Gusmano Francesco Maria, che non brilla certo per quoziente intellettivo o tasso di erudizione, narra in prima persona le sue vicissitudini per conoscere la misteriosa Cléo. Il Conte riesce ad invitare la donna ad un tè presso l’abitazione dell’amica Margot, con il proposito di corteggiarla e, possibilmente, di sedurla. Per combinazione Margot riceve una telefonata dal suo amante, che la obbliga ad uscire di casa in fretta e furia, e il Conte si ritrova solo con la donna delle sue brame. Dopo molte resistenze e continui cambi di programma, essi trascorrono la notte nell’appartamento stesso, ma, riaccompagnata Cléo il mattino dopo, l’uomo ha una prima sorpresa. In una busta consegnatagli dalla donna, trova una lettera di parecchie pagine e la cifra di mille lire come compenso per le sue prestazioni notturne. Il Conte è sconvolto nello scoprire che, per la prima volta nella sua vita, viene retribuito come se fosse un volgare mantenuto, e nello stesso tempo conquistato dello spirito libero di Cléo. Decide quindi di passare al contrattacco per riavvicinarla e conquistarla in maniera definitiva, oltre che per dissipare il mistero che, ancora, continua ad avvolgere la bella signora.
Guido da Verona nel 1929 |
Dalla ricerca del Conte prende l’avvio tutta una serie di altre disavventure, tra atelier, duelli e bische clandestine, narrata con un stile frizzante e ricco di doppi sensi, ma mai volgare. Nelle pagine del romanzo ritroviamo un’epoca dai telefoni a muro azionabili con la manovella, distributori automatici di cioccolatini, orologi definiti cronometri, vetture a cavalli, signore con lunghe collane di perla e signori con fiore all’occhiello. Tra l’altro il Conte Consalvo Malachia Gusmano Francesco Maria, che si definisce molti uomini racchiusi in un solo, affascinante corpo, nella sua eloquenza mischia disinvoltamente opere letterarie, autori, pittori, filosofi, figure storiche, mettendo tutto sullo stesso piano.
Poco importa, però, che egli attribuisca più importanza al buon funzionamento del suo orologio che alla cultura e, in definitiva, non sia molto intelligente, cosa di cui è ben conscio e di cui è consapevole anche Cléo. È lei ad essere intelligente per due e gli uomini intelligenti la annoiano, asserisce Cléo in una personale e ironica formula della felicità di coppia.
Un’epoca, dunque, che ci fa venire in mente i film in bianco e nero degli anni ’20 e ’30, espressa in un romanzo godibile e straordinariamente moderno.
Ciao Cristina, mi sono unita ai tuoi lettori fissi perché il tuo blog mi è parso subito interessante 🙂 Se ti andasse di passare da me e di unirti al mio blog(di libri), mi farebbe piacere. Mi trovi qui: amicadeilibri.blogspot.it ^__^
Ciao Antonietta, benvenuta! Grazie mille di esserti unita ai lettori fissi del mio blog. Grazie anche della segnalazione sul tuo, conto di visionarlo non appena possibile. A presto. 🙂