Siamo arrivati in fondo alla nostra galleria sui principali segni di interpunzione, a volte misteriosi a volte davvero ostici. Come promesso, in questo post vi parlerò innanzitutto delle parentesi. A livello tipografico ne esistono di diversi tipi: le più note sono le parentesi tonde, le quadre e le graffe. Qui vi parlo di quelle che usiamo di più nella nostra scrittura, cioè le parentesi tonde.Esse sono poste all’interno di una proposizione e contengono un periodo cui sono legate a livello concettuale. Come le virgolette, si aprono e si chiudono.

English Archers di William Powell Frith, 1872
Royal Albert Memorial Museum, Devon
http://www.rammuseum.org.uk/

Le parentesi hanno la forma dell’arco e delimitano
il “tiro” della frase contenuta al loro interno.

Le parentesi introducono un pensiero collaterale, che non sarebbe nemmeno necessario per la comprensione della frase, una breve precisazione o addirittura una digressione. Spesso potrebbero essere sostituite dai tratti lunghi, o dalle virgole, perché contengono veri e propri incisi.
Le parentesi si usavano molto nella letteratura ottocentesca, in cui gli autori amavano introdurre pensieri secondari che andavano ad arricchire il concetto principale. In questa epoca dove andiamo dritti al sodo, si utilizzano molto meno e, come avviene per altri segni di interpunzione, il loro uso si va perdendo. Spesso sono appunto sostituite dai tratti lunghi oppure dalle virgole; o, ancora, la frase contenuta al loro interno viene promossa a periodo principale e autonomo. Ad ogni modo, delle parentesi è meglio non abusare per non rendere il testo esitante e non confondere le idee al lettore
Vediamo un esempio illustre, cioè un brano tratto da Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson (1886):

Il lato perverso della mia natura era meno sviluppato del lato buono di cui m’ero spogliato; e con questo si spiega il fatto che Edward Hyde era tanto più basso e giovane di Henry Jekyll. Come la bontà splendeva nell’aspetto dell’uno, così la depravazione era scritta sul volto dell’altro. Il male (che credo sia la parte mortale dell’uomo) lasciava su quel corpo un’impronta di deformità e di decadenza. Eppure, guardando quella brutta immagine allo specchio, non provavo alcuna ripugnanza, ma un moto di soddisfazione. Anche questo ero io.

Eccovi ora la famigliola dei trattini, che contribuiscono non poco alla confusione tipografica! Ne esiste una miriade, ma quelli che a noi servono sono solamente due: il trattino breve e il trattino lungo.
Angeli cherubini ne La Madonna Sistina di Raffaello Sanzio (1513-1514)
Gemaeldegalerie – http://www.skd.museum/de/startseite/index.html

Questi espressivi angioletti esprimono tutta la loro perplessità sull’uso dei trattini.



  • trattino breve o corto o tratto di unione. Si usa nei seguenti casi: 

– per segnalare un ritorno a capo, quando si deve spezzare in due una parola. Oggi, con i programmi di scrittura, questa operazione è stata facilitata, anche se spesso constato che ci sono dei ritorni a capo del tutto “random” e contrari a quello che ci insegnavano a scuola. Spezzeremo quindi le parole “duca Pucci” in questo modo: du-ca Puc-ci

– per unire due parole correlate, come dice il suo equivalente francese trait d’union. Possiamo quindi dire: Un antenato del duca Pucci combatté con valore nella guerra franco-prussiana.
– per indicare un intervallo di tempo tra due cifre. Quindi: Le vittorie nel campionato di calcio 1988-1989 portarono grandi risultati alla squadra favorita del duca.
 per spezzare al suo interno una parola con lo scopo di marcarla e comunicare un sentimento di indignazione. Avremo:  Il duca Pucci litigò fu-rio-sa-men-te con la suocera.

  • trattino lungo o lineetta, che si usa al posto delle virgolette, o per racchiudere un inciso al posto delle virgole o delle parentesi tonde. Eccovi un altro esempio illustre, tratto da Il Circolo Pickwick di Charles Dickens:

– Ho trovato una cura numero uno per la gotta, Sam – rispose il signor Weller posando il bicchiere. – Una cura per la gotta! – esclamò il signor Pickwick cavando in fretta il suo portafogli; – e qual è? – La gotta, signore, – rispose il signor Weller, – la gotta è un certo malanno che viene dalle troppe comodità e dall’averne troppi. Se mai vi piglia la gotta, signore, subito sposatevi una vedova che abbia una buona dose di voce e che se ne serva discretamente, e la gotta ve lo dico io che non torna più. È una ricetta miracolosa, signore. Io la prendo regolarmente tutti i giorni, e posso garantire che son sicuro da qualunque malattia prodotta dallo star troppo bene.  

Portrait of Princess Anna P. Gagarina,
née Lopukhina 
di Jean-Louis Voille, c. 1792,
The Hermitage, St. Petersburg, Russia 
http://www.hermitagemuseum.org

Au revoir dalla principessa virgola!

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Non possiamo però salutarci senza qualche ultima chicca offerta dalla principessa virgola, e per far questo chiamerò di nuovo in mio aiuto il marchese Marcello, la contessina Carlotta e il duca Pucci per il gran finale. Ecco:

– La virgola si pone spesso per separare o isolare un complemento, se esso si trova in posizione differente da quella che occuperebbe nell’ordine diretto del discorso:

Il duca Pucci disse alla contessina Carlotta: “Io, per lei, farei qualsiasi cosa.”

– Da alcuni autori si considera preferibile l’uso del punto e virgola, anziché della virgola, davanti all’avversativo “ma”, se introduce una proposizione complessa, mentre si preferisce la virgola se le due proposizioni sono costituite soltanto da soggetto e predicato. Diremo quindi al marchese Marcello:

“Tu studi; ma il lavoro non ti rende. Tu parli, ma divaghi.”

– La virgola si mette nel posto che spetterebbe al predicato in una proposizione elittica del predicato, quando il verbo sia lo stesso della proposizione che precede. Troppo complicato? Legge qui, e capirete al volo:

La contessina Carlotta mangia aragoste; il marchese Marcello, caviale.

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Bene, siamo proprio arrivati in fondo alla nostra fatica! Questa è la punteggiatura, sta a noi metterci i contenuti.