Siamo arrivati dunque a parlare di altri due segni di interpunzione molto noti e piuttosto enfatici, specie il primo, che a volte procedono addirittura in coppia: il punto esclamativo e il punto interrogativo.
Trombettiere (forse Valentine Snow), ca. 1753.
Property Name: Fenton House
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Il punto esclamativo è l’araldo della nostra corte punteggiatrice, che conclude qualsiasi periodo esprimente meraviglia, stupore, dolore, gioia, desiderio, invocazione o qualsiasi altro forte sentimento. Egli è il gran cerimoniere della frase, il trombettiere che chiude la processione delle parole e anche lo sbandieratore degli stati d’animo.
Eccovi un brevissimo estratto dal romanzo Mastro-Don Gesualdo (1889) di Giovanni Verga:
Voglio che tu sii meglio di una regina, se andiamo d’accordo come dico io!… Tutto il paese sotto i piedi voglio metterti!… Tutte quelle bestie che ridono adesso e si divertono alle nostre spalle!… Vedrai! vedrai!… Ha buon stomaco, mastro-don Gesualdo!… da tenersi in serbo per anni ed anni tutto quello che vuole… e buone gambe pure… per arrivare dove vuole… Tu sei buona e bella!… roba fine!… roba fine sei!…
Ecco, vedete, se ne scappa! Ridete, ridete! Così, tra la baia di tutti! E ora gli corro dietro; e per tutte le strade, inchini, riverenze, scappellate, fino a non dargli più un momento di requie! Vado dal sarto! Mi ordino un abito da pompa funebre, da fare epoca, e su, dritto impalato dietro a lui, a scortarlo a due passi di distanza! Si ferma; mi fermo. Prosegue; proseguo. Lui il corpo, ed io l’ombra! L’ombra del suo rimorso! Di professione! Lasciatemi passare! Esce, buttando indietro questo o quello tra i lazzi e le risa di tutti.
Il punto interrogativo, invece, può essere considerato come il filosofo di corte, colui che si pone eterni interrogativi sul senso della vita. Questo segno d’interpunzione esprime domanda e dubbio, e lo fa con varie sfumature. In italiano è collocato alla fine, per cui, specie nei periodi molto lunghi e complessi, il lettore scopre solamente in fondo che si tratta di una domanda. Così l’impeto della frase potrebbe arenarsi come una balena spiaggiata. Assai più furbi di noi, gli spagnoli lo mettono all’inizio, come del resto fanno anche con il punto esclamativo, così non ci sono dubbi di sorta e si può dare subito la giusta intonazione.
Eccovi un passaggio tratto da I Promessi Sposi (1840) di Alessandro Manzoni, dove Don Abbondio, dopo le minacce ricevute dai bravi, cerca in tutti i modi di rimandare il matrimonio tra Renzo e Lucia, accampando le scuse più inverosimili:
Il filosofo di Giovanni-Battista Quadrone (1870). Collezione privata. “Dubito, quindi sono.” |
“Sapete voi quanti siano gl’impedimenti dirimenti?” “Che vuol ch’io sappia d’impedimenti?” “Error, conditio, votum, cognatio, crimen, Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas, Si sis affinis,…” cominciava don Abbondio, contando sulla punta delle dita. “Si piglia gioco di me?” interruppe il giovine. “Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?”
Ci illustra efficacemente il concetto anche un passaggio dello splendido e attuale romanzo I Viceré (1894) di Federico De Roberto:
“Deputati,” spiegò il padre, “sono quelli che fanno le leggi nel Parlamento.”
“Non le fa il Re?”
“Il Re e i deputati insieme. Il Re può badare a tutto? E vedi lo zio come fa onore alla famiglia? Quando c’erano i Viceré, i nostri erano Viceré; adesso che abbiamo il Parlamento, lo zio è deputato!…”
Non è un delitto usarli nella corrispondenza privata, o in altre forme di comunicazione enfatiche come la pubblicità, ma non sono granché belli a vedersi in un testo letterario. Un solo punto esclamativo in un passaggio, specie descrittivo, attira l’attenzione, mettendone troppi si ottiene l’effetto contrario. I nostri filosofi e trombettieri di corte si sono messi in fila e fanno un sacco di smorfie, o strillano a pieni polmoni, rendendo leggermente ridicola la frase.
E a voi, che cosa piace vedere in un testo in relazione a questi due segni così enfatici?
Ciao Cri',
come temevo: sei entrata in un labirinto. Ora pioveranno punti di vista a iosa.
Condivido quasi tutto, Se proprio devo dire tutto, bada te la sei cercata. Nutro qualche perplessità sul pezzo di Pirandello. C'è chi va dicendo "troppi punti non fanno un bell'effetto, specie se in brevispazi narrativi".
Non sono d'accordo, e il grande "Gigino u siculo" (una battuta me la passerà) lo dimostra alla grande.
Ciao Enzo, grazie del commento! 🙂
Tieni conto che il pezzo di Pirandello è scritto per il teatro, quindi i punti esclamativi a iosa ci stanno tutti. Quindi Gigino ringrazia anche dell'affettuoso nomignolo.
Troppi punti esclamativi in un testo letterario a me non piacciono proprio, ad esempio "L'arte della gioia" di Goliarda Sapienza ha dialoghi in cui ce ne sono davvero troppi. Però come al solito il dosaggio è questione di gusti.
Sei sempre carinissima nel trattare argomenti spinosi. E adesso mi immaginerò sempre il punto esclamativo con la tromba e l'interrogativo che filosofeggia.
Ah, ah, grazie Tenar! In effetti l'argomento è un po' arido, per cui immaginare i segni come antropomorfi aiuta.
Chissà se l'uso di tanti punti esclamativi in fila è una mania dei nostri giorni?
Comunque anche quelli singoli mi sono venuti un po' in antipatia, soprattutto nei dialoghi. Infatti revisionando l'ultimo romanzo ne ho tolti tantissimi. Mi sembravano poco eleganti e penso che in molti casi siano proprio inutili, perché il tono enfatico si intuiva lo stesso. Tu che ne dici, è possibile farne un uso più parco?
Secondo Beppe Severgnini nel suo "L'italiano. Lezioni semiserie" sì, è una mania dei nostri giorni: tutti strillano servendo dei punti esclamativi per attirare l'attenzione, il problema è che poi non li nota più nessuno. Ricordo un saggio terapeutico-psicologico letto qualche tempo fa, era pieno di punti esclamativi, anche quando faceva delle citazioni. "Fai questo!" "Fai quell'altro!" "Mangia!" "Prega!" "Ama!" (questi ultimi tre verbi sono il titolo di un film… parlando di film…).
Secondo me, meno si mettono e meglio è. Su quello mi allineo agli anglosassoni: loro li mettono poco, a volte nemmeno dopo gli imperativi. Che il punto esclamativo denoti il carattere di un popolo?
Sui punti esclamativi sono anch'io molto parca nei miei scritti, e comunque ne uso solo nei dialoghi. Tendo a cercare l'intensità nella profondità piuttosto che nell'esplosione, perciò i punti esclamativi risultano controproducenti. Quanto all'accostamento di punto esclamativo e interrogativo, non so proprio cosa dovrebbe succedere nella storia per farmelo venire in mente… 😉
In effetti le trombe creano un'intensità un po' diversa da quella che cerco! (anzi, !!!)
Fai bene a usarne pochi, io la penso esattamente come te. Come mettere troppe spezie per insaporire un piatto, alla fine risulta indigesto. (… le tue battute mi fanno sempre molto ridere!) 😀
Il punto esclamativo è molto adolescenziale e femminile. In testi scritti da ragazze molto giovani, ne trovo a profusione, pare lo mettano ovunque. Anzi: ovunque!!!!! Anche io li uso solo nei dialoghi, ma non ne uso molti. L'interrogativo, invece, non lascia molta possibilità: quando serve deve essere usato, pena l'intera comprensione della frase.
Acuta la tua osservazione, Chiara. In effetti può essere usato come modo veloce per enfatizzare sentimenti intensi. Mi ricordo che li usavo anch'io sul diario di scuola, accompagnati da tutta una serie di fiorellini, decorazioni e colori! Sull'uso del punto interrogativo ci sono certamente meno dubbi.