Trovata una radura nella foresta, la principessa e si liberò del suo fagotto, deponendolo fra le radici di un albero. Estrasse quindi l’acciarino che aveva portato con sé, radunò alcuni rami secchi, si accoccolò, mandò una scintilla ad accendere il fuoco. Solamente quando la fiamma cominciò a crepitare col suono di una voce sicura, trasse delle provviste dalla sacca: una grossa pagnotta, un pezzo di formaggio, una fiasca d’acqua.

Funeral symphony 
di Mikalojus Konstantinas Ciurlionis (1903)
Si sedette accanto ad Antares, e guardò il volto del bambino addormentato, che intravedeva, ancora pallido, alla luce della luna. Vi sarebbe rimasta per sempre l’orribile, crudele impronta vista nei giorni scorsi, o si poteva porvi rimedio? Sì, sarebbe andata nel regno degli Innocenti, da suo padre e da sua madre, e nemmeno l’arcigna madre Mira le avrebbe negato il suo aiuto, paga di essersi opposta alle nozze e che i fatti le avessero dato ragione. Avrebbe chiesto soccorso a Regolo, ch’era Mago del Sud… oh, avrebbe smosso cielo e terra, pur di sottrarre Antares ad un destino così atroce: quello di diventare una creatura del male, e di assicurare ad Aldebaran l’immortalità.
Quasi avesse avvertito lo sguardo ed i pensieri della madre, il bambino si mosse nel sonno, batté le palpebre e si svegliò. Ancora intontito dal preparato di erbe, si guardò attorno e vide Lyra. Ella ruppe la pagnotta in piccoli pezzi e, sorreggendolo, tentò di nutrirlo. Insonnolito ma ribelle, Antares, preso da un invincibile senso di ripugnanza non dal cibo in sé, poiché era affamato, quanto da colei che glielo porgeva, serrava i pugni, stringeva le labbra e voltava la testa di qua e di là. Infine la fame ebbe il sopravvento, ed egli inghiottì il pane. Alcuni istante dopo, accettò anche l’acqua dalla fiasca, dove Lyra aveva disciolto un po’ di quel preparato di erbe per farlo dormire. Egli, difatti, si riaddormentò. Lieta di quel miglioramento, Lyra ripose le provviste nella sacca, si accoccolò accanto al fuoco e si preparò ad affrontare la notte all’aperto.
***

Da ore rimestava il fuoco per tenersi sveglia, e al contempo allontanare gli animali selvatici: i lupi che popolavano le montagne del Nord e, a volte, in branco o in solitudine, scendevano a valle dove trovavano armenti e greggi da attaccare e sbranare, o gli orsi bruni che girovagavano per le foreste in cerca di miele dolce e di buone radici. 
Grazie alla danza del fuoco, le tornavano alla mente le storie sugli Gnomi della Terra, così numerosi nel Quarto Regno, ed il rotolio d’un sasso, il rumore d’un ramo spezzato la facevano trasalire, mentre gli alberi della foresta, coi loro molteplici bracci, coglievano ed ampliavano quei rumori come all’interno d’una chiesa fanno i pilastri, i capitelli e le volte arcuate. In quei momenti, era certa di vedere sagome furtive apparire e scomparire dietro gli alberi, e occhi luminosi osservarla, e con rinnovato vigore si dava ad attizzare il fuoco per tenere lontane le creature che la circondavano. Infine, i rumori si acquietavano, ma incombeva un silenzio persino più pauroso: attorno a lei, gli alberi diventavano spettri nel cielo oscuro, sbiancati com’erano dalla luce della luna, e levavano alte braccia dolenti; in lontananza, udiva, ancora, rumori di cacce infernali, latrare di cani, scalpitio di cavalli, cacce che durano per l’eternità, ed atterriscono gli inermi viandanti; e le lucciole guizzavano via, nell’erba, da una parte e dall’altra, quasi spaventate da presenze invisibili. Lyra alzava lo sguardo verso l’alto, e pregava perché il mite disco rotondo della luna impallidisse e si spegnesse, e la sua luce opalescente lasciasse il posto a quella, aranciata e fiammeggiante, del sole. E, insensibilmente, la notte nera iniziò a mutare, molto lontano, verso est, e si fece d’un blu intenso, come una goccia di colore chiaro cade in un bicchiere d’inchiostro e, spandendosi, lo diluisce e lo scolora.
The Flood (X) 
di Mikalojus Konstantinas Ciurlionis (1904-1905)
La
principessa si alzò in piedi, come per aiutare l’avanzata
del giorno; e quando il primo raggio di sole ebbe bucato quel colore blu, ancora appartenente alla tenebra, ella esultò, e rivolse una preghiera di
ringraziamento alla Voce. Al contempo, sentì un movimento venire dalla sacca,
ai suoi piedi, si chinò e sorrise nel vedere i grandi occhi scuri di Antares
guardarla stupiti, ma colmi della limpida espressione d’un tempo. Anche il
bambino le sorrise, e quel sorriso le parve fugasse del tutto le nere ombre
d’un maleficio non ancora compiuto. Egli si rizzò, si strofinò gli occhi e
guardò, sempre più meravigliato, la grande foresta sconosciuta che lo
circondava. “Dove siamo, madre?” chiese. “Siamo nelle foreste del Nord, diretti
a meridione,” spiegò Lyra, accoccolandosi davanti a lui e disponendosi a
spegnere il fuoco. “Ti spiegherò strada facendo. Ora dobbiamo muoverci,” aggiunse, continuando a
sorridere.

Davanti al Castello-Fortezza, il Mago del Nord salì a cavallo, imitato, alle spalle, dal gruppo di armigeri che l’avrebbero accompagnato. Il re dei Crudeli pose la mano sulla briglia, e trattenne il fratello. “Ricordati che hai promesso Lyra a me,” disse egli, e quasi sbavava per l’eccitazione. “Me ne rammento,” replicò Aldebaran. “E Altair? E Mira?” chiese Fomalhaut, all’improvviso titubante. “Non mi curo di loro, come non mi curerei se tutti i maghi miei pari – Mira, Regolo, Andromeda – dovessero muoversi, insieme, a darmi battaglia,” replicò egli, orgogliosamente. “Del resto, non ve ne sono alla mia altezza,” aggiunse in tono di disprezzo, e spronò il cavallo per ritornare al castello.