La copertina della silloge, edita da Morcelliana |
visione. Questi due pensieri mi hanno attraversato la mente durante la lettura
della silloge La lenta agonia della
beatitudine di Arnoldo Mosca Mondadori pubblicata nel 2013 dalla casa
editrice Morcelliana.
La morte, innanzitutto, oggigiorno camuffata in quanto porta con sé il decadimento del corpo, per cui si prova il
bisogno di ingraziosirla imbellettando la salma o con le operazioni preventive
della chirurgia estetica. Addirittura, di nasconderla come fosse una vergogna,
confinandola in qualche struttura predisposta al trapasso, o di rimandarla con
la tecnologia di una macchina in modo che il corpo continui a perpetuare se
stesso. La morte, l’unica tappa certa nella vita di ciascuno di noi. E, di
contro, la poesia che ci viene in soccorso con le ali del verso e diventa
taumaturgica per il nostro spirito amareggiato e stanco. Anche ai non credenti, la
lettura di questi versi poetici è difatti balsamo per lo spirito e la mente, se
non altro per le immagini che scaturiscono dalle righe e che ci fanno sgranare
gli occhi e trasalire… come quando vediamo qualcuno che incontrammo molto tempo
fa, e di cui non ci ricordiamo più, ma che in qualche modo ha continuato ad
esistere, nascosto, dentro il nostro cuore.
di Arnoldo chiamano il sangue, il fuoco, la neve: elementi eterni e simbolici
del creato. Egli li fa muovere in una danza che ha molto della mistica
medievale, di san Francesco e Dante innanzitutto, in un moto ascensionale che
afferra e fa risplendere il fulcro del messaggio cristiano, la croce di Cristo, esponendolo
alla piena luce. Grazie ad esso, la vita diventa una “lunga agonia” tutta volta
verso la “beatitudine”, e la morte si riveste così di colori splendenti. Mi avvicino alla morte / sono fiamme di luce
quelle che si alzano al confine. Sembrerebbe uno scenario di guerra o
devastazione, quello che viene prefigurato. Ma, aggiunge: È la gloria ad un passo. / È una distesa che trema. / E dentro le
fiamme ci sono i beati. / I corpi attraversati dalla gloria. Come nei
deserti arroventati dove vibra il miraggio, egli vede i beati immersi nella
luce. Non è illusione, ma concretezza priva dell’involucro carnale, e pure
tangibile e vera. Nella chiusa, ricorda anche: La tua croce è un legno d’amore: si perde eternamente / in Dio come un
relitto. In quel legno benedetto, intuiamo la presenza di un naufrago
glorioso, che ha affrontato la tempesta per amor nostro, e ha vinto.
il simbolo della croce come punto focale della creazione da cui ogni cosa
proviene, prima del tempo storico dell’uomo: Su quella croce / furono pensati i fiori. Che cosa c’è di più bello
di un verso come questo? Il legno dell’albero è il legno della croce,
indistinguibili fra loro. Nel nulla immobile prima dell’inizio del tempo, Dio
getta il suo cuore assoluto negli abissi. Ma Dio non è evanescente,
impalpabile, è presenza viva e corporea, persino minacciosa e predatoria: balzò nel nulla come un felino. … Dio aggredì il nulla e lo mise nella sua
bocca, proprio come un leone mastica
e frantuma, dà origine alla creazione. La bocca divina equivale al Verbo evocato
da Giovanni, con un’immagine che quasi richiama un dio pagano divoratore e
avido.
Ecce homo di Georges Roualt (1937) Museo Nazionale d’Arte Moderna di Parigi http://www.mam.paris.fr/ |
del paganesimo e il Dio cristiano, e risiede nella presenza del Figlio. Il Figlio che placa il cuore irato del Padre e ne fa scaturire l’amore e la tenerezza: C’erano i gelsomini sul tuo
corpo. / Salendo sul Calvario i fiori / si erano aggrappati ai tuoi piedi. Non
è finita dunque: il firmamento inizia
a convergere verso la croce, risucchiato da una legge fisica, potente come
una vertigine cui niente può resistere. La seconda, autentica creazione ha
inizio con la morte di Cristo: E quando
gridasti, sì, fu quello il principio della / creazione. Vorticano il sangue
e il fuoco, dal cuore divino nascono fiori. Fiori, di nuovo e sempre: i fiori
del perdono, stavolta. La croce divide in due: da una parte amore, dall’altra
ancora amore. Versi sorprendenti, che rintoccano nel profondo del nostro essere,
si spalancano quali visioni dimenticate che ritornano, come se anche noi, in
qualche modo, fossimo stati presenti a quella morte e quella resurrezione. Che
aggiungere ancora? Come ci dice questo poeta, nella lunga agonia della nostra
beatitudine, un giorno quel volto amato sorgerà di nuovo… e noi
ardere nella neve.