Fortress (Fairy Tale) di Mikalojus Konstantinas Ciurlionis (1909)

Nella Cappella, la principessa era inginocchiata davanti al simbolo della Voce – il disco con la croce centrale – e pregava. Il simbolo luceva quietamente nella luce dell’alba, insieme alle pietre colorate di pareti e soffitto, ed i santi e i cavalieri degli affreschi parevano assopiti, i primi appoggiati a lunghi steli di giglio, o a ruvidi bastoni, i secondi a scudi ornati e a spade affilate.

Nessuna voce dava conforto alle pene della madre che pregava e rammentava. Rammentava come, nonostante le sardoniche assicurazioni di Aldebaran, in quei giorni non v’era stato verso che Antares accettasse alcuna cosa da lei, né un goccio d’acqua né una carezza. Il bambino era irriconoscibile, e i suoi lineamenti alle volte erano distorti in un’espressione malvagia. Incapace di resistere a lungo senza toccare il figlio, un giorno Lyra lo aveva sollevato fra le braccia, ed il bambino vi si era dibattuto con tale furia che le sue unghiette avevano graffiato il bel volto di porcellana della madre, e lei era stata costretta a deporlo a terra e a vederlo fuggir via, e rimanere là, col cuore gonfio e gli occhi colmi di lacrime. Soffriva a taceva, e nascondeva i suoi pensieri al Mago del Nord, nel profondo della mente, come fuggiaschi all’interno d’un labirinto inaccessibile, e pregava la Voce che le concedesse al più presto ciò che aveva domandato.

Sollevando la testa, Lyra vide all’improvviso un’ombra lunga stagliarsi sul pavimento di pietra della Cappella, davanti all’inginocchiatoio, ed ebbe un sussulto di spavento. “Sono desolato di interrompere le tue preghiere, mia signora,” disse Aldebaran, ritto sulla porta, e, stavolta, la voce del Mago del Nord era priva di qualsiasi traccia d’ironia. Avanzò e si pose accanto alla sposa, senza inginocchiarsi, ma col viso rivolto al disco di pietra. “Occorre che io m’allontani dal castello,” annunciò. Il respiro di Lyra fu un soffio trattenuto, e le mani intrecciate nell’orazione si unirono più strettamente. “Starò via solo per alcuni giorni. Ti prego d’occuparti tu del bambino, o dare istruzioni alla servitù in proposito.” Lo guardò e vide che egli era pallido in volto, quasi che il potente mago soffrisse d’un dolore lancinante, impossibile da lenire con le sue arti; e, pronunciate quelle poche parole, lo vide uscire dalla Cappella. La principessa lo seguì con lo sguardo, volse la testa verso il disco di pietra e comprese che il momento era finalmente giunto.

***

Era ormai notte fonda. Dopo il gran vento del giorno, che aveva smosso le chiome degli alberi ed allontanato le nuvole, e spento il suo soffio solo all’imbrunire, una luna rotonda campeggiava ora, unica padrona, sopra le torri del castello. Il pianeta latteo rendeva chiaro il cielo, tanto che, dalla finestra, la principessa poteva distinguere con nettezza i ciottoli dei sentieri, inargentati e luccicanti, il guizzo omicida della faina, accanto al pollaio, le radici degli abeti, ritorte ed avvinghiate al terreno. 
The Night di Mikalojus Konstantinas Ciurlionis (1904-5)
Lyra si staccò dalla finestra ed aperse un baule ai piedi del letto, dove aveva nascosto una veste da contadina sottratta ad una delle serve del castello. Si spogliò dei suoi bei vestiti e indossò la povera veste, si legò sul capo un fazzoletto ed imprigionò gli splendidi capelli sotto la grigia stoffa, calzò un paio di scarpe fatte di legno e cuoio. Prese un ampio scialle, ne annodò le due estremità fino a formare una sorta di sacco e vi depose Antares, addormentato grazie ad un preparato d’erbe di cui ricordava la ricetta, infilò le braccia nelle parti annodate e se lo issò sulla schiena. Prese anche una sacca contenente dei viveri, e se la mise a tracolla. Prima di uscire dalla stanza ella esitò, decise di levare le scarpe di legno, cui non era avvezza, e camminare a piedi nudi per non fare il minimo rumore. 
Cautamente uscì dalla stanza e chiuse la porta. I corridoi erano deserti, e solo le torce riverberavano e crepitavano in lunga successione. I piedi nudi di Lyra si mossero, veloci e silenziosi, dapprima sull’impiantito di legno, poi sul pavimento di pietra delle scale e dell’ingresso, e camminarono infine sul soffice strato di erba verde che aveva fatto stendere per attutire i rumori della fuga. Davanti alle scuderie, Lyra s’arrestò e si infilò di nuovo le calzature, poi entrò, calpestando paglia ed escrementi di cavallo. I purosangue si mossero lievemente, ed alcuni sbuffarono, ma nessuno nitrì così forte da destare allarme. 
La giovane donna s’accostò al suo cavallino, lo stesso che, più di sei anni fa, l’aveva portata fin là sulla groppa, sposa ignara e felice, lo accarezzò, gli disse qualche parola all’orecchio, lo sellò, gli mise morso e briglia e lo trasse fuori dalla scuderia. Vi montò sopra, a fatica per il peso che le gravava sulla schiena. Solo per un attimo si voltò indietro, verso il castello e la Torre della Magia: nessuno s’era affacciato dagli spalti del castello, nessuna torcia riverberava dalle finestrelle della Torre. 
Poi, la notte inghiottì il cavallo e i due fuggiaschi.