L’uomo con il cappello è la creatura letteraria
della scrittrice Jodie Foster: fra loro
ci sono continui battibecchi!

Questo post nasce come risposta al’interessante articolo di Maria Teresa Steri che trovate al seguente link. Anch’io ho fatto qualche riflessione sul mio rapporto con la scrittura e sono venuti fuori in ordine sparso dodici corposi punti, numero magico per eccellenza. Eccoli qui:

  1. Una volta soffrivo nel cambiare anche una sola virgola o una frase a seguito di critiche, per non parlare di intere scene. Ora, se ritengo che l’osservazione sia pertinente, provo a riscrivere il pezzo che zoppica, o scrivo nuove integrazioni qualora sia necessario; e taglio brutalmente e senza rimpianti se c’è da tagliare. Forse è l’effetto del lavoro che faccio da tanti anni, o forse di qualche forma di sopravvenuta umiltà…
  2. Con i miei personaggi ho un rapporto alla pari, e mi comporto proprio come Jodie Foster in Alla ricerca dell’isola di Nim in cui la scrittrice discute vivacemente con il protagonista delle sue storie. Per me sono esseri in carne ed ossa che spesso mi contestano… e con tutta probabilità derivano da quella leggera o grave forma di schizofrenia da cui sono affetti tutti gli scrittori. 
  3. Qualche volta prendo spunto dalla realtà (situazioni o persone), ma soprattutto da altri romanzi, poesie, film, quadri, articoli di giornale, anche di cronaca nera. Sono affascinata dalla psicologia degli esseri umani e, quando meno me lo aspetto, arriva lo spunto giusto. Io le chiamo le mie “griglie d’oro” in movimento.
  4. Molta parte dei miei romanzi è visionaria e onirica, e le scene più belle mi sono state regalate in sogno, nella fase del dormiveglia al mattino, come pure la risoluzione di alcuni problemi che sembravano insolubili (sempre nell’ambito di una storia, beninteso!).
  5. Scrivo a qualsiasi ora e quando posso, ma amo particolarmente la sera e la quiete domestica. Non pretendo tranquillità assoluta, perché, essendo sempre vissuta in città, sono abituata a sentire del rumore. Al contrario, leggo ovunque, in mezzo al chiasso e in ogni ambiente, perché riesco ad estraniarmi senza problemi.
  6. Se metto musica per ispirarmi, è inerente il periodo di cui scrivo, quindi in questo periodo è musica medievale – danze, madrigali, ballate di caccia o guerra. Quando scrivevo Il Pittore degli Angeli, ascoltavo musica del 1500, specie veneziana. Ad ogni modo preferisco avere come sottofondo musica classica o strumentale, e non canzoni: niente che abbia a che fare con le parole.
  7. Di tutte le fasi di scrittura, amo soprattutto la prima, quella in cui si scrive senza preoccuparsi di niente: né della verosimiglianza della storia, né della credibilità dei personaggi, o della forma linguistica. È il momento della massima libertà, in cui ci sono io e basta. 
    Esperimenti di mesmerismo nella Francia
    del XVIII secolo: quello sguardo perso nel vuoto
    è proprio il mio…
  8. Quando scrivo una scena, sono in stato di ipnosi leggera e, dopo aver finito, mi sento leggermente fuori registro, come un’immagine venuta sfuocata in fase di stampa. 
  9. In genere non riesco a lavorare su più storie contemporaneamente, a meno che non siano racconti brevi. Finché non ho finito un romanzo, almeno nella sua prima stesura, mi dedico solo a quello. Ad esempio, ho già in mente la trama per una storia ambientata nel 1300 all’epoca della caduta dei Templari, e ho già buttato giù qualche scena, ma non ho ancora la testa sgombra per lavorarci sul serio. 
  10. Prendo appunti qua e là di quello che mi viene in mente, su foglietti o post-it, o sui bordi dei giornali che mi porto dietro, ma poi li copio a computer suddivisi in file. Sono molto ordinata e, scrivendo romanzi storici, non solo ho parecchi saggi cui attingere, ma anche una serie di raccoglitori con giornali, riviste e articoli suddivisi per argomento, cartine, mappe, fotografie, ritagli, e-mail… È un lavoro di documentazione immenso, con tanta paura di sbagliare. 
  11. Non ho mai avuto il blocco della pagina bianca, tranne quando devo redigere… la sinossi! Allora mi sembra di essere ritornata una scolaretta e fisso lo schermo del computer con lo sguardo vuoto e la mente bianca tale e quale alla la pagina. 
  12. Quando la trama prende risvolti inattesi e i personaggi mi sorprendono, allora capisco che non ho più il pieno controllo di quello che scrivo. E la cosa mi riempie di gioia. Il romanzo è diventato come un essere vivente, e questa è una delle molte meraviglie del processo di scrittura.
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Trovate che io esageri? Oppure vi ritrovate in qualcuno di questi punti? Fatemi sapere!