Nella notte del solstizio d’estate, Lyra diede alla luce Antares quasi senza dolore. Dopo un travaglio breve, accompagnato da lamenti soffocati anziché da urla strazianti, grazie anche alle misture di Aldebaran, la principessa degli Innocenti, con gli occhi spalancati per lo stupore volti al soffitto intravato della stanza da letto, e le mani aggrappate a quelle delle levatrici, sentì il figlio scivolarle fuori dal grembo che lo aveva protetto per nove mesi. Con quella dolcezza, e senza piangere, Antares dei Quattro Regni venne al mondo. Memore dell’incubo, Lyra lo ricevette subito tra le braccia e ruppe in singhiozzi per il sollievo: il bambino era bellissimo. Dopo qualche istante, egli sgranava gli occhi neri e ascoltava attento la voce di Lyra, che gli parlava, felice, stringendolo contro di sé; e, più tardi, s’era dato a suggere dal seno materno il primo liquido zuccherino.

Maternità, da Le tre età della donna di Gustav Klimt (1905)
Galleria Nazionale di Arte Moderna – Roma
http://www.gnam.beniculturali.it/

Le levatrici erano affaccendate attorno alla puerpera, e ancora commentavano sulla bellezza del piccolo, che s’era assopito dopo la poppata, quando il principe Aldebaran, avvertito della nascita, fece il suo ingresso nella stanza, ed esse si scostarono davanti all’alta figura del Mago del Nord. Egli si fermò accanto al letto della sposa.

Vi fu un attimo di silenzio. “Ecco tuo figlio,” gli disse Lyra, scostando il panno in cui era avvolto affinché potesse guardarlo. Come se fosse indifferente al neonato o, al contrario, lo conoscesse già molto bene, Aldebaran rimase immobile, senza nemmeno far l’atto di sollevarlo fra le braccia per ammirarne i lineamenti. Solamente, avvicinò la mano sinistra a quella, minuscola, sporgente dal panno, toccò le piccole dita con l’indice ed il medio, e le dita di Antares ebbero un fremito, ed egli aperse e chiuse la manina sulle dita del padre. Al che il Mago del Nord ebbe uno dei suoi imperscrutabili sorrisi, sciolse la mano dalla presa del neonato e si volse alla sposa. “M’hai fatto un grande dono, mia signora,” disse, “e di ciò ti sarò grato per l’eternità.”

“Ora, se tu lo permetti” aggiunse, “prenderò il bambino e lo porterò alla Torre della Magia per presentarlo agli spiriti celesti e terrestri che veglieranno su di lui da questo giorno in poi.” La principessa Lyra, memore del sogno, rabbrividì e, d’istinto, strinse a sé il piccolo. “Non temere, te lo riporterò quanto prima,” la rassicurò Aldebaran. Egli si chinò a dare un bacio sulla fronte della sposa, poi le tolse Antares dalle braccia, e si allontanò, diretto, come nel sogno della principessa, verso la Torre della Magia.

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Sonata delle Stelle di Mikalojus Konstantinas Ciurlionis
(1908) – Fonte: Grigas, Osvaldas –
M.K.Ciurlionis Painting Gallery. Vilnius Lyceum

Qualche giorno dopo la nascita del bambino, Lyra giaceva ancora a letto, indebolita da una fastidiosa febbre puerperale, curata dallo sposo con infusi d’erbe medicinali. Aveva chiesto, ed ottenuto, di poterlo allattare al posto di una balia, e che la culla del piccolo fosse perciò trasportata nella sua stanza. Nei momenti di sonno, lo ninnava con la mano. Trascorreva così lunghe ore contemplando la testolina di Antares, su cui i capelli castani si rizzavano, rabbuffati; non appena il bimbo si svegliava, lo sollevava dalla culla e lo teneva fra le braccia… e quella testolina ciondolava, tutta colma di pensieri, malgrado Lyra fosse pronta a sorreggerla nell’incavo della mano (era così piccola che riusciva a circondarla per intero) affinché tutti quei pensieri non la facessero divenire troppo pesante.


In uno di quei pomeriggi di placida gioia, era intenta a far dondolare la culla dove il bambino dormiva, quando, d’improvviso, la quiete fu rotta un grande strepito di cavalli e d’uomini all’ingresso del castello, ed in quel tramestio ella riconobbe, con un fremito di disgusto, la voce di Fomalhaut. “Dov’è mio nipote? Dov’è? Aldebaran,” sbraitava egli, “voglio vedere il tuo capolavoro!” La giovane madre ebbe appena il tempo di accostare la culla al letto che, preceduto da un calpestio di stivali, pochi istanti dopo il re dei Crudeli fece irruzione nella stanza. Senza farsi annunciare né salutare la cognata, andò verso la culla, vi si piantò davanti a gambe larghe e con le mani sui fianchi, si chinò e guardò attentamente il bambino addormentato. Dopo una lunga, velenosa occhiata, si rizzò e disse rivolto al fratello, che, a sua volta, era entrato nella stanza: “Alla nascita, mio figlio Ofiuco sembrava un rospo balzato in una culla reale, e ancora ne conserva l’aspetto. Ma Antares è stupendo, un vero principe. Mi compiaccio con te, Aldebaran.” Fece una pausa. “Lo stesso dicasi per la fattrice,” aggiunse all’indirizzo della cognata, scoprendo i denti aguzzi in un sorriso, al che ella, ancora una volta, si sentì urtata da quei modi spicci e grossolani.

“Ho recato doni per voi,” annunciò poi il re, con un gesto reciso della mano, e fece cenno a due servitori del suo seguito, rimasti sulla soglia, di entrare coi doni, cosa ch’essi fecero prontamente. “Innanzitutto, uno stemma col simbolo del regno, da porre sulla culla di mio nipote in omaggio al suo rango; un bracciale d’oro e pietre preziose, per adornare il polso della mia bella cognata; ed un paio di volumi d’Alta Magia che ho trovato al castello, destinati a mio fratello Aldebaran. Ho intenzione d’essere tuo ospite,” concluse, rivolto verso il gemello, “e festeggiare lungamente la nascita di Antares. Sento ch’essa sarà d’enorme importanza per tutti noi.”