Nomen omen, dicevano gli antichi, ovvero nel nome è racchiuso il destino; più banalmente, oggi si usa la locuzione in senso dispregiativo per riferirsi a qualche losca caratteristica della persona. Nell’ambito delle nostre conversazioni sul romanzo, e forti della saggezza classica, sarà meglio, quindi, assegnare quanto prima possibile un nome ai personaggi che affolleranno le pagine delle nostre storie. Fin dalle prime pagine, infatti, i personaggi tenderanno ad assumere personalità peculiari, a volte in contrasto con quello che avremo deciso per loro. È opportuno, quindi, non dar loro un appellativo qualsiasi, tanto per tenerli a bada, ma uno che sia il più possibile aderente al loro carattere, altrimenti questo avrà ripercussioni sul loro comportamento e lo sviluppo della trama.
Nello scegliere il nome, saremo dunque in fibrillazione, esattamente come tanti futuri genitori in attesa di un figlio che redigono elenchi lunghissimi (con la differenza che spesso il pargolo ha già emesso i primi vagiti, e attende solo di sapere come si chiamerà). A meno che non si stia scrivendo un romanzo a quattro mani, il vantaggio è che saremo soli in questa scelta, e quindi non litigheremo con la controparte, o la folla di parenti che pretendono di dire la loro. Ci comporteremo quindi come genitori attenti e responsabili nell’operare le nostre scelte, con nomi che i personaggi si porteranno dietro nel corso di tutto la storia, e magari anche in romanzi-seguito.
Come faremo a scegliere un nome per il personaggio? Ecco alcuni criteri su cui ci si può basare:
Mary Mother combing her child’s hair di Mary Cassatt (1879) – Brooklyn Museum http://www.brooklynmuseum.org/home.php Anche noi avremo cura dei nostri personaggi, proprio come la madre di questo dipinto. |
- l’etimologia: ogni nome, italiano o straniero che sia, ha un’origine e una storia, per quanto nascosti possano essere, e sono convinta che spesso il significato del nome lavori in maniera sotterranea per determinare quello che si è. Per rimanere nell’ambito dei nomi italiani, ad esempio, se chiameremo il nostro personaggio Pancrazio, dovremo sapere che si riferisce allo sport della lotta, quindi attribuirlo a un uomo gracile e malaticcio sarebbe prenderlo in giro – a meno che non vogliamo scrivere una parodia, oppure creare un personaggio contraddittorio o ridicolo.
- l’epoca storica e lo status sociale e familiare: a seconda dell’epoca in cui situeremo la nostra storia, o dell’appartenenza ad una determinata classe sociale e familiare, e del luogo dove vivranno i personaggi, daremo nomi appropriati. Nick il Duro andrà benissimo per il capo banda di spacciatori newyorchesi dei giorni nostri, sarà un po’ meno adatto per un pio monaco medievale dell’anno 1300. Madame Yvonne potrebbe andar bene per la tenutaria di una casa di piacere del 1900, o anche per un’abile cuoca esperta in manicaretti… avvelenati. Tutto dipende, però, dall’effetto che vorremo ottenere sulla pagina e del genere di romanzo! Perché non immaginare un monaco medievale inglese che si chiami proprio Nick il Duro e che sia a capo di una fazione all’interno di un monastero? Allora il contrasto sarà esilarante.
- il suono: al di là dell’etimologia, ci sono nomi dal suono particolarmente evocativo e altri che stridono come punte di diamante sopra un vetro o, semplicemente, non dicono nulla. Vi faccio un esempio un po’ dissacrante, sperando di non tirarmi addosso le invettive dei miei lettori e soprattutto quelle dell’autore, che si rigirerà pure nella tomba, per farvi capire che cosa intendo e soprattutto per sottolineare la bellezza e la precisione con cui è stato scelto il nome. Inserirò qui lo stralcio di un incipit famosissimo, sostituendo il nome con un altro. Pronti a rabbrividire? Ecco:
Chiamatemi Carletto. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che mi interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che io ho di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione…
Si tratta di uno degli inizi più famosi nei romanzi di tutti i tempi, Moby Dick di Melville, qui nella traduzione di Cesare Pavese. Che cosa è successo? Ho sostituito il nome ‘Ismaele’ con ‘Carletto’, facendo piombare tutto il paragrafo successivo in una specie di de profundis. Il nome Ismaele, infatti, non solo deriva dall’ebraico (“Dio ascolta” o “Dio ascolterà”) e quindi ha un suono di particolare solennità, ma è anche altamente evocativo di qualcosa di grande, immenso: proprio come il mare dove è ambientata la storia della balena bianca, del capitano Achab e della sua ciurma. Qualcosa, oserei dire, che sta persino al di sopra delle teste dei personaggi del libro, vale a dire il destino. Carletto è un nome simpatico, ma ci fa immaginare il personaggio come un ragazzino magrolino e vivace; per rimanere nell’ambito del mare, al limite potrebbe essere un mozzo. Affrettiamoci dunque a rimettere a posto le cose, e rileggiamo il brano, stavolta per intero:
Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che mi interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che io ho di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scende un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie di pompe funebri e di andar dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in istrada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto.
Che meraviglia, e non aggiungo altro.
- un personaggio, un nome: questa è una regola mia, cioè non attribuire lo stesso nome a più personaggi per non confondere le idee al lettore. Ci sono grandi scrittori, però, che fanno esattamente il contrario, uno dei quali è Gabriel Garcia Marquez in Cent’anni di Solitudine o Federico de’ Roberto con I Vicerè; per entrambi i romanzi a un certo punto avevo dovuto preparare un albero genealogico perché non capivo più di quale Aureliano parlasse il primo, o di quale principe di Francalanza il secondo.
Purtroppo, sui nomi nei romanzi storici la mia regola non vale. Si parte dal presupposto che non sia possibile cambiare i nomi dei personaggi storicamente esistiti, e qui cominciano le dolenti note. Nel periodo storico di cui mi sto occupando ora (a cavallo dell’anno 1000), tutte le nobili casate mettevano ai loro figli maschi gli stessi nomi… che di solito erano anche i nomi dei padri come da tradizione. Così spuntano centinaia di Guglielmo, Goffredo, Ugo, Baldovino, Eustachio…, contrassegnati da I, II, III nell’albero genealogico (se si ha la fortuna di trovarne). Di fronte all’ennesima scoperta che il nipote del tal Ugo si chiama, di nuovo, Ugo, si possono avere reazioni di vario tipo, le più blande oscillano tra scoppiare in pianto dirotto oppure avere una crisi isterica lanciando fuori dalla finestra carta, saggi e computer; e senz’altro si rimpiange il simpatico, inimitabile Carletto del punto precedente.
- il nome e il soprannome: il nome può avere un soprannome che lo accompagna e che contribuisce a
Filippo IV di Francia detto il Bello (1285-1314):
meglio era per chiunque non incrociarne il cammino…delineare ancora meglio il nostro figlioletto o figlioletta di carta, proprio come se fosse una descrizione fisica o caratteriale condensata in poche parole (persino più breve di Twitter!). A torto o a ragione, persino i re e le regine avevano dei soprannomi con cui sono passati alla Storia: Filippo il Bello, Berta dai Grandi Piedi, Eustachio dai Lunghi Baffi, Giovanni Senzaterra, Luigi l’Attaccabrighe… Quasi sempre, inoltre, i cognomi derivano dai soprannomi, e sono rimasti nell’anagrafe. Possiamo quindi anche noi dare un soprannome al nostro personaggio, stagliandolo come con un colpo di frusta.
Naturalmente le regole di cui sopra valgono fino a un certo punto, in quanto si possono anche creare dei nomi basandosi solo sulla fantasia o sulle pure assonanze. Ciò si usa molto nel fantasy e nelle tipologie collegate, che negli ultimi tempi sono proliferate a causa delle contaminazioni tra generi. Possiamo anche, in tutta semplicità, assegnare i nomi delle persone in carne ed ossa che ci hanno ispirati, come parenti, conoscenti, amici e amanti.
E voi, cari genitori e amici di penna, come vi regolate nel dare un nome ai figli della vostra immaginazione?
bell'articolo, appassionante e divertente! Quali criteri uso nell'assegnare il nome ai miei personaggi? Mah, per quanto sia modesto il mio contributo, ecco qui: innanzitutto, un nome per un personaggio (evito le ridondanze come la peste!); in seconda battuta, mi accerto che il suono sia adeguato alla sua immagine (e qui entrano in gioco anche le simpatie/antipatie verso certi nomi con riferimenti a persone in carne ed ossa, conosciute, incrociate); per ultimo, nel caso mi serva caratterizzare geograficamente un personaggio, faccio attenzione a usare un nome in grado di evocare la sua provenienza. Sull'uso di diminutivi, o soprannomi, sono molto cauta perché, da una parte, potrebbero svelare fin troppo alcuni tratti caratteriali del personaggio (e non sempre è ciò che si desidera), dall'altra – se introdotti troppo presto, ovvero prima che il lettore abbia potuto sedimentare bene le sue peculiarità, possono creare confusione, inceppando, così, il processo di lettura. In tutto questo, vorrei aggiungere che, con grande sorpresa e sommo divertimento, ho scoperto, solo dopo la pubblicazione del romanzo, che un amico di una cara amica si chiama esattamente come un mio personaggio (assolutamente positivo) e la cosa ancora più buffa è che i due si assomigliano sia nell'aspetto, che nel carattere … 😀
Cara Clementina, grazie davvero per il tuo contributo così articolato. Vedo che uno dei punti che ci accomuna è quello “un nome per ogni personaggio”, quindi apparteniamo al genere degli scrittori ordinati. Nel tuo caso è tanto più necessario in quanto autrice di gialli: pensa che venisse fuori che ci sono tre personaggi, ad esempio, di nome Andrea e uno dei tre fosse l’assassino! La confusione sarebbe somma. Qualcosa su cui sono d’accordo è il fatto di associare a un nome che ci piace o non ci piace una persona già conosciuta. Penso che sia il motivo prevalente, magari irrazionale, che ci fa attribuire un nome a un personaggio specifico. Ed è bello quello che mi dici, cioè che hai conosciuto a posteriori una persona che è in tutto e per tutto come un tuo personaggio. A me piacerebbe incontrare il mio Geoffroy de Saint-Omer in carne e ossa, potrei perderci la testa! 🙂
Io sono una mamma molto istintiva, il nome viene fuori da solo quasi subito. Questo è un problema quando poi ci ragiono su e decido di cambiarlo… è come se ormai gli si fosse appiccicato addosso! Quando mi è capitato, mentre scrivevo continuavo a chiamarlo come all'inizio, insomma è stato un disastro 🙂
Comunque ho trovato ottimi i tuoi suggerimenti e troppo divertente la modifica a Moby Dick… caspita quanto hai ragione sulla differenza tra le due versioni!
Cara Anima, grazie mille per il tuo commento. Sì, spesso ho notato anch’io che le scelte istintive sono le migliori, non solo per quanto riguarda il nome, ma anche per il carattere dei personaggi. Si ha un bel dire, ma se un personaggio nasce con dei lati oscuri, è inutile volerlo “sperfidizzare” a tutti i costi. Come è vero il contrario, se è buono come il pane, inutile premere perché vada all’arrembaggio armato fino ai denti e con gli occhi iniettati di sangue. Poi il nome è come un cappellino nuovo, se ci siamo abituati a vedere il nostro personaggio/bambino con un cappellino a fiori, ci sembrerà strano cambiarlo con un berretto a righe… poi mi sa che sarà lui a protestare per primo!
Bellissimo post!
Capisco il tuo problema con i nomi medioevali, scrivendo dell'antica Roma ho avuto guai simili: le donne non avevano un nome proprio (o, secondo alcuni studiosi, lo avevano ma lo tenevano segreto e pertanto non abbiamo prove di questa teoria). Usavano semplicemente il nome di famiglia al femminile. Comodo per districarsi nelle genealogie, pessimo per individuare le persone. Credo che la metà delle patrizie di Roma a fine repubblica si chiamasse Cornelia, essendo la gens Cornelia la più diffusa e ramificata!
Cara Tenar, innanzitutto benvenuta e grazie per il tuo commento! Del mondo romano conosco poco, ma la tua osservazione sul mondo femminile mi conferma che il destino delle povere donne nella Storia è sempre stato quello di vivere all’ombra dei mariti, o degli uomini di famiglia… o comunque nell’anonimato. Peraltro anche nel Medioevo ho notato che le bimbe avevano spesso il nome della madre, e nei documenti e negli alberi genealogici spesso compaiono in maniera frettolosa e imprecisa. C’è comunque da ridere: io penso che se qualcuno chiamava a gran voce “Hugues!” in mezzo alla strada, come minimo si giravano in dieci.
Simpaticissimo e interessante articolo. In realtà mi sono chiesta spesso perché io abbia dato proprio quei nomi a certi miei personaggi (a parte quelli storicamente esistiti) e non sempre sono riuscita a darmi una risposta. Leggendo il commento di Daniela (molto chiaro e articolato) mi sono detta : sì, anch'io sono stata così, ordinata, razionale e molto attenta nello scegliere certi nomi. Poi ho letto il commento di animadicarta e mi sono detta: è vero, è stato così anche per me, determinati personaggi mi si sono presentati da soli già con il loro nome ( e quando ho provato a cambiarlo, ho fatto anch'io una gran confusione!) Un confusione come quella che ho espresso adesso in questo commento…Boh! Sarà che a volte la mia scelta è meditata e a volte istintiva! Per ritornare a Daniela, lei sì che i nomi li sceglie bene…ha dato il mio nome alla protagonista del suo giallo, prima di conoscermi ovviamente! Magari dopo se ne sarà pentita =D Ringrazio Cristina che come sempre ci fa riflettere e divertire. Un saluto a tutti i lettori di questo bellissimo blog.
Ciao Stella, grazie davvero per il tuo commento e per i complimenti al blog. In generale, da tutte le vostre osservazioni mi sembra di capire che non ci siano delle regole precise sul nome da dare ai personaggi, che a volte deve essere funzionale al genere trattato a volte può rispondere a criteri di gusto personali. Ad ogni modo sono convinta che la scelta di un nome anziché di un altro catalizzi delle caratteristiche e delle energie nel personaggio e non altre… proprio come il nome Stella! 🙂 Ci sono anche scrittori che giocano sul nome, proponendo rimandi oppure omaggi ad altri famosi personaggi nella storia della letteratura, come avviene nelle citazioni in un film.
Al contrario, Stella, dopo averti conosciuta e dopo questa incursione nel delizioso blog di Cristina, sono sempre più convinta di aver scelto bene il nome della protagonista! 🙂
davveri interessante Cristina.Anch'io curo molto I nomi.
Marcella
Fai bene, Marcella! Nei nomi è racchiuso il mistero del personaggio. Buona scrittura e buon lavoro.