La Creazione del Mondo XI (1906)
Mikalojus Konstantinas Ciurlionis

“Disponiamoci appaiati, e i carri proseguano l’uno dietro l’altro,” ordinò il principe Aldebaran, fermando il cavallo davanti ad una spaccatura che apriva la montagna con la profondità d’una ferita. Il mattino seguente, avevano lasciato il Castello-Fortezza di Fomalhaut, salutati dal re in persona e, dopo alcune ore di marcia, erano arrivati all’ingresso della Gola dei Volti, accesso ai Territori del Nord e al regno di Aldebaran. Il corteo si dispose così come aveva ordinato il principe, e avanzò verso la stretta imboccatura della Gola.

 Non appena fu entrato, la luce sparì, quasi il sole fosse stato inghiottito, e un’ombra cupissima s’abbatté su carri e cavalieri. La principessa volse lo sguardo in alto, cercando la luce scomparsa, e la ritrovò, alla sommità delle altissime pareti di roccia; là, nubi s’ammassavano ai bordi taglienti, poi se ne distaccavano e superavano lo strapiombo senza cadervi, e cadere sulle teste del corteo, ed infine s’alzavano, allacciate l’una all’altra, simili a corpi d’avorio avvinti nell’azzurro per poi disperdersi nell’aria.

Lyra fece scendere lo sguardo sulle pareti e, stupita, vide che erano così vicine da riuscire a posarvi sopra la mano per sentirne tutta l’umida scabrosità. Poi, quelle pareti, di colpo, si allontanarono da lei, le si apersero dinnanzi, e Lyra spalancò tanto d’occhi: due file di grandi teste profilate spuntavano dalla roccia, da un lato e dall’altro, a fissarsi vicendevolmente. Passandovi accanto, la fanciulla si volse a guardarle: molte di quelle facce balzavano fuori, prepotenti, ed avevano occhi, nasi, bocche, scolpiti con la precisione d’un altorilievo, altre sorgevano dalla superficie con l’approssimazione d’un abbozzo. Tutte mostravano il loro corruccio nella fronte aggrottata e nella piega sdegnosa della bocca. Sottili rivoli d’acqua correvano nelle fenditure della roccia, animando le severe fisionomie, e Lyra ebbe l’impressione che quegli occhi di pietra stessero ricambiando il suo esame, e solamente la presenza di Aldebaran, signore di quei territori, consentisse il passaggio nella Gola. Ne chiese allo sposo, intimorita. “Il trascorrere del tempo e l’opera dell’acqua, della neve e del ghiaccio modellarono, dapprima, questi volti,” le rispose Aldebaran. “In seguito, alcuni scultori, forse provenienti dalla tua terra, giunsero a completare il lavoro della natura,” aggiunse, a mo’ di conclusione e rassicurazione.

***

Usciti dalla Gola, la salita si fece così malagevole da costringer tutti a scendere e proseguire a piedi. Il principe Aldebaran prese per mano la sposa e l’aiutò nella salita, passo dopo passo, conducendola sulle pietre che, accostate l’una all’altra, con ciuffi d’erba negli interstizi, componevano un sentiero lastricato ma ripidissimo, su cui il piede della fanciulla, chiuso in scarpine di cuoio sottile, scivolava maldestro. Quel sentiero sembrava allungarsi, snodarsi, inerpicarsi, e non avere mai fine e, dopo qualche tempo, il cuore di Lyra cominciò a battere a ritmo accelerato, e il suo respiro a farsi affannoso. Sentiva i rumori del corteo che, dietro, proseguiva a fatica: gli zoccoli dei cavalli battevano sulle pietre, le ruote dei carri gemevano e scricchiolavano, le voci degli uomini incitavano gli animali. Per darsi forza, Lyra alzava la testa e guardava in alto, verso il cielo azzurro che l’attendeva al termine di quella salita e, finalmente, quando il cuore parve spezzarlesi nel petto ed il fiato strangolarla, ella arrivò in cima, e là s’arrestò, ansimando, con gli occhi chiusi. Chiese di riposarsi un istante e, dietro comando di Aldebaran, solleciti arrivarono alcuni servi a stendere una stoffa su un masso piatto e liscio, la principessa vi si sedette, immerse i piedi nell’erba fresca e nelle campanule azzurre, e guardò.

Sguardi II. (1907)
Mikalojus Konstantinas Ciurlionis

Man mano che la vista, offuscata dalla fatica, le ritornava, ed il cuore smorzava i battiti tempestosi, il suo animo di bambina si colmava d’uno stupore nuovo, diverso da quello, venato d’inquietudine, che l’aveva pervasa nella Gola, poiché quel paesaggio in nulla assomigliava alla terra lontana: era una conca verdeggiante che s’apriva, immensa, ai suoi piedi, illuminata da un sole radioso, e velata, di tanto in tanto, dal passaggio d’enormi nuvole che stendevano la loro ombra sotto di sé. Era tutta circondata dalle montagne, quella conca, come il palmo d’una mano, rivolto all’insù, è protetto dalle dita, ed era attraversata da un fiumiciattolo: il Fiume dalle Acque Profonde, ancora nella sua prima giovinezza. Un’ombra oscurò il sole accanto a lei, ed ella sentì la voce di Aldebaran. “Si chiama Conca di Smeraldo, a causa del verde intenso dell’erba,” disse egli. “Racchiusa com’è dalle montagne, vi piove spesso, e l’erba cresce dello stesso colore della pietra preziosa”.

Lyra sorrise. Accanto al fiumiciattolo, v’erano villaggi, e casette col camino fumante, recinti, orti, e piccoli campi, e, da lassù, si riusciva a vedere persino alcune galline razzolanti, la legna accatastata per l’inverno, vasi di fiori alle finestre, ed un gran viavai di persone, con carriole, ceste, bambini, attrezzi da lavoro, ed altre cose. E v’erano mucche ovunque: molte pascolavano tranquille, sollevando di tanto in tanto la testa e annusando l’aria con le narici umide, o scuotendo le orecchie per scacciare le mosche, ed ogni loro movimento era accompagnato dal suono dei campanacci che portavano al collo; le più ardite giungevano ad inerpicarsi sui fianchi della montagna, a strappare ciuffi d’erba o fiori che le ingolosivano; le pigre erano accovacciate e si guardavano attorno coi loro grandi occhi dolci, e muggivano. Nell’aria serena, quel muggito si univa al belato delle capre, perse chissà dove. 

Desiderosa di vedere ogni cosa da vicino, la principessa si alzò; ritornarono i servi per togliere la stoffa, ed in un baleno tutti risalirono, chi sui cavalli, chi sui carri ed iniziarono la discesa verso la meravigliosa Conca di Smeraldo.