Ciò che vide per prima cosa, aprendo gli occhi, fu un caldo e gioioso fascio di sole, che, filtrando dalla finestra socchiusa, divideva in due l’ombra, giungeva a posarsi sulle coltri e vi tracciava sopra un sentiero luminoso. Dimentica di dove fosse, la principessa rimase a guardarlo, lungamente, tendendo anche l’orecchio al canto d’uccelli ed al suono d’acqua provenienti dall’esterno.
Erano arrivati al Castello-Magia la sera prima, erano stati accolti da alcuni servi, avevano mangiato qualcosa e subito erano andati a dormire. Nel talamo, ben presto era scivolata nel sonno, in compagnia delle immagini del grande fiume, delle imbarcazioni, del castello di Fomalhaut, delle montagne, della Gola dei Volti e della Conca di Smeraldo, e nella Gola vedeva scolpito il volto dello sposo, e dalle nuvole sorgeva l’immagine ammonitrice di sua madre, con la bacchetta levata e le vesti scompigliate come una Silfide irata, e i festosi cani da caccia di Aldebaran divenivano i molossi ringhianti di Fomalhaut, e le abbaiavano contro… Tutto le si era confuso nella mente e si era addormentata, felice e stanca come una bambina che ha molto giocato, ma pronta a riprendere i suoi trastulli la mattina seguente.
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Staubbach Falls, vicino a Lauterbrunnen, Switzerland olio su tela – Albert Bierstadt (1865) |
Si ersero dinnanzi, in un inno di luce, gigantesche e spaventose, ed il respiro di Lyra si fermò per l’ammirazione e la paura. Non aveva mai visto nulla di simile. Si diede a percorrerle con lo sguardo: alle loro falde sorgevano vaste estensioni d’abeti e pini, che, al tocco del sole, si rizzavano quali aculei d’un porcospino al tocco d’una mano; là dove i boschi rimanevano, invece, nell’ombra, il verde era così intenso da sembrare nero; nel fitto della foresta sentieri coperti da tronchi rovesciati e rami spezzati dalla mano dell’uomo, o dal rovinio della natura, arrancavano verso l’alto. Alla sommità, gli alberi perdevano la loro compattezza di esercito, si diradavano, s’allontanavano l’uno dall’altro, ed iniziava la roccia nuda e desolata, spaccata e sfregiata, senza un filo d’erba, senza un goccio d’acqua. Solamente sulle cime più alte, lontano lontano, residui di neve biancheggiavano al sole, scintillavano lastroni di ghiaccio perenne.
Malgrado il sole violento e le sue forti emozioni, l’aria del mattino, fredda e pungente, fece rabbrividire la principessa, chiusa in una leggera camicia da notte. Volgendosi per ritirarsi e chiudere le imposte, vide, con immensa gioia, Aldebaran, sorridente sulla soglia. “M’auguro che tu abbia trascorso una felice notte, mia signora,” le disse egli, muovendole incontro per afferrarle le mani e baciargliele. “Ti manderò le domestiche, affinché ti preparino. Ti occorre indossare abiti più caldi e calzature confortevoli. Più tardi, ti condurrò io stesso a visitare il castello e i dintorni.” “Oh, sì!” esclamò lei, “non vedo l’ora di vedere ogni cosa.” “Sarai accontentata assai presto, mia signore,” rispose egli, con il suo sorriso misterioso.