La cena al Castello-Fortezza volgeva al termine. Nella stanza da pranzo, piccola e con finestrelle a strombo, e mobili di legno scuro e massiccio privi del benché minimo ornamento, v’era ben poca luce. In compenso, un monumentale camino ospitava un fuoco gagliardo, che illuminava parte dell’ambiente e vi toglieva ogni traccia d’umidità; questi era aiutato, nel suo compito, da una fila di torce inanellate alle pareti e da quattro bracieri posti agli angoli della stanza. Davanti al focolare, i molossi sonnecchiavano, sazi. Benevolmente cullata dal calore di quei fuochi, del cibo appena mangiato e del vino appena bevuto, la principessa Lyra, anche lei semiassopita, ascoltava a tratti le parole del re.

Questi conversava con il fratello. “Le mie terre sono rocciose, aspre e, in alcune zone, verso Nord-Est, addirittura aride,” si lagnava Fomalhaut. “La gente deve inerpicarsi sulle montagne a coltivare i vigneti, attaccarsi funi alla vita per falciare pochi lembi di prato, zappare terra dura quanto il greto d’un fiume. Non ho certo ereditato da nostro padre un regno facile… come quello degli Innocenti.” Nel sentir nominare la terra natale, la giovane si riscosse dal suo torpore e guardò il re. “Ma sì,” riprese Fomalhaut, guardando in faccia Lyra, e quasi ringhiandole contro, “i vostri contadini non piegano la schiena fino a spezzarsela, né vedono i loro raccolti spesso distrutti da grandine e temporali. Facile, vero? Il grano cresce in abbondanza, gli alberi da frutto si piegano sotto il carico, le colline si coprono di fiori ad ogni primavera, e voi avete tutto il tempo di dedicarvi a canti e balli.” “Lascia stare, Fomalhaut,” intervenne Aldebaran con voce pacata ma ferma. Continuò: “Non è colpa di Lyra se il terreno del Primo Regno è più fecondo, o l’aria che vi spira più dolce. Del resto, fratello mio, le tue parole non sono cortesi verso un’ospite, e certo poco riguardose verso una nuova parente.”

Tale of Two Kings – Mikalojus Konstantinas Ciurlionis (1909)

Fomalhaut scambiò una rapida occhiata col fratello, e l’ira parve sbollirgli come per incanto. Dopo un attimo d’esitazione, levò di nuovo il boccale in direzione della cognata. “Mi scuso con te, bella Lyra,” le disse. “Stasera mi sono lasciato trascinare dal mio cattivo umore, e ti ho mancato di rispetto. Voglio perciò rimediare levando il calice in onore tuo, e della tua straordinaria bellezza,” concluse, e portò la coppa alle labbra. La principessa si sentì arrossire fino alla radice dei capelli, poiché gli occhi di Fomalhaut, che si muovevano sul suo corpo, sostando sul seno e sui fianchi, parevano denudarla con la lascività di due mani. Il re posò la coppa sul tavolo bruscamente, e, al colpo ch’essa diede, la fanciulla trasalì. Si rese conto che non era stata in grado di proferire parola durante tutta la cena.

“Sarai senza dubbio stanca del viaggio, e vorrai ritirarti a riposare,” le suggerì Aldebaran con gentilezza, al che Lyra assentì, lieta di potersi sottrarre agli sguardi lubrici del cognato, e realmente stanca del viaggio. Il principe fece cenno ad una serva, rimasta ad attendere in un angolo, affinché assistesse la principessa, e la donna sollecita s’appressò al tavolo. “Ti raggiungerò quanto prima,” aggiunse Aldebaran, alzandosi e baciandole la mano. La principessa salutò la cognata, che rispose con un mormorio distratto. Il re invece, con un ghigno carico di sottintesi ed un sorriso altrettanto significativo, seguì Lyra con lo sguardo fino a quando non fu uscita dalla stanza.

***
        
Truth –  Mikalojus Konstantinas Ciurlionis (1905)
Quella notte, Lyra attese a lungo lo sposo, sola nel talamo, ascoltando la pioggia ormai scrosciante tamburellare sulle coperture, il rumore del fiume ingrossato, ai piedi del castello, ed il vento che girava attorno alla torre, finché gli occhi non le si chiusero e non s’assopì. Muovendosi sulla superficie del dormiveglia, come un corpo sul pelo dell’acqua che lo sostiene e gli impedisce d’affondare, vide la sala da pranzo lasciata poc’anzi: vide la regina Denebola, la quale s’alzava e si ritirava a sua volta. Vide i due fratelli, rimasti soli, accanto ai resti della cena, al fuoco quasi spento e ai cani sonnecchianti, e che proseguivano la loro
conversazione. Scorgeva il profilo dello sposo, ornato d’una corta barba corvina, i capelli lunghi sulle spalle, e il naso dritto e acuminato come quello d’un falco, gli occhi balenanti d’una luce color dell’acciaio; e quello tozzo e squadrato del re con la sua barba ispida e mal curata, toccata dalle dita sporche, li vedeva l’uno di fronte all’altro come due esseri uniti nel corpo e nello spirito.

Conversavano, e lei sentiva le loro voci – quella di
Aldebaran era bassa, quella di Fomalhaut era stridula, costellata da
esclamazioni ed occasionali scoppi di risa – ma non riusciva a cogliere
nemmeno una parola e avrebbe voluto che lo sposo non si trattenesse così a
lungo a discorrere, né che il fratello commentasse le sue parole con quelle
risate alte e sonore. Nello stesso tempo ignorava se la scena fosse una visione, un
mero sogno o ambedue le cose insieme, e tutto quel che vedeva le instillava nel
cuore un’angoscia sottile.

Si svegliò, dunque, da quel sogno sgradevole, gli
occhi aperti a fissare l’insegna del disco d’oro sul tetto del letto a
baldacchino, ed attese ancora Aldebaran, tanto a lungo che rischiò di nuovo
d’addormentarsi. Ma quando egli arrivò, e l’abbracciò con la tenerezza della
prima notte, si sentì subito rassicurata. Ogni paura scomparve come per
magia, e Lyra s’abbandonò fra le sue braccia con la fiducia di una bambina.