Autoritratto con sette dita di Marc Chagall (1912-13)
Stedelijk Museum, Amsterdam
http://www.stedelijk.nl/
Come il pittore raffigurato nel quadro, anche il poeta
è un anomalo creatore… con sette dita!
Nel pronunciare la parola “poesia”, al comune sentire verrà purtroppo in mente qualcosa di svenevole, come stucchevoli romanticherie o febbricitanti sentimentalismi. Molta cattiva opinione sulla poesia è dovuta a versi intrisi di melassa e lacrime, ad atteggiamenti da prime donne o primi uomini. La vera poesia, in realtà, porge un messaggio di alto valore, ottenuto dallo sposalizio tra parole e dalla musica che ne deriva. Il tutto si trasmette al lettore come una partitura, per scavalcare la razionalità della prosa e arrivare dritto al nucleo più profondo dell’essere. Per questo motivo, ritengo che la poesia non possa essere spiegata: lo scritto del recensore si rivela un’arma spuntata nelle sue mani. 
Nella splendida silloge Costa
fatica far girare il sole
 
di Vladimiro Forlese,  ritroviamo il senso, la musicalità e  la forza della poesia autentica, e di
conseguenza l’inadeguatezza del recensore. Sono versi di livello altissimo, e di
una bellezza bruciante: abbaglianti come lampi che folgorano, e nello stesso
tempo precisi come lame che incidono e scarnificano. Compito del poeta è
affondare nella montagna come un cercatore, traendo alla luce solo la parte più
preziosa della vena nascosta: l’oro puro. Così nella poesia di apertura,
dedicata allo sconosciuto lettore, ci viene detto con fierezza… ecco: lo scopo era, resta / la poesia,
nonostante il veleno, i naufragi / le agonie, le ossute mani che toccano a sé /
e spengono i fiori ad uno ad uno.
  Il
poeta non è solo un cercatore, ma anche un alchimista, per sé e per gli altri,
che spesso opera nel silenzio e nel nascondimento. La poesia, ardito alfabeto, ci attraversa con
l’essenza dell’attimo, degli eventi, dei pensieri e delle emozioni,
sfrondati dagli inutili veli che appannano o indeboliscono la visione;
persino al di là dell’amarezza e del dolore di una vita che, senza dubbio, ha
bruciato e brucia la mano del poeta come fuoco solforoso. L’ho
detto: ecco, rivoltatemi come una tasca / prendete l’amore che mi resta /
fatene pane, / notturno usignolo, arma per i mattini del mondo. 
La copertina della silloge
C’è anche
una tensione tra due forze opposte, una ascendente una discendente, che pulsa nei versi di questa raccolta: una lotta tra la materialità della terra e delle
sue idolatrie, del suo eterno mercato di esseri umani, e quella tesa alla
conservazione, al sogno e alla memoria.  Affiora spesso la nostalgia per una realtà alta
e altra: un luogo celeste, non nel senso abusato del termine, bensì un “dove”
in cui la beatitudine si sprigionava prima di tutto nella natura non deturpata,
e nella condizione dell’uomo in pace con lei e con se stesso. Di contro, si
presenta allo sguardo del poeta l’ambiente che lo circonda, offeso dallo
scempio, dal tormento / delle ciminiere che
filano di fumo l’avvenire
e, in parallelo, l’inaridimento del nostro
mondo interiore, lo zero in cui
muoiono le nostre anime.
Diventa urgente coltivare la memoria: anche se il mondo mi sfugge so il torcere
del / tempo
Così la misura della circonferenza, presente nel suggestivo
titolo della silloge, indica non solo lo scorrere del tempo cosmico, ma le
ruote sanguinose della Storia che da sempre stritolano le moltitudini degli
oppressi, e mandano alla ribalta, come tali, i forti con la loro protervia.
Diventa imperativo non abbandonare una lotta di civiltà (ci siamo detti che nuove leggi nascono / dove non c’è più legge, / che un
nuovo onore nasce / dove onore è il disonore…
), condotta in primo luogo con
le armi che tutti noi possediamo, quelle dell’onestà e della coerenza, per
combattere contro lo scoraggiamento e la tentazione di cedere, anche noi, al
“così fan tutti”. Memoria anche individuale, però, di un’infanzia nella terra
assolata del meridione, un luogo magico dove l’altezza delle montagne / fa cieco l’orizzonte del grano, e dove
la madre rimane, custode, a fare la
guardia  / ad una cassapanca piena di
fogli
del figlio lontano. 
Molte altre sono le cose che andrebbero dette di quest’opera, ma, come ho ammesso all’inizio, il recensore stavolta ha la penna spuntata. Posso solo aggiungere, a mo’ chiusura, che in questa silloge Forlese canta la bellezza assoluta, e
la esprime con i versi alchemici di una vita. E la bellezza assoluta equivale
alla Giustizia, di cui questo poeta ha ancora fame e sete inappagate. 


Costa fatica far girare il sole  è al seguente link: http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=784349