Niente panico non è solamente il titolo del bel romanzo giallo di Clementina Daniela Sanguanini, ma anche il motto delle sorelle gemelle monozigoti Laura e Stella, protagoniste della storia: una sorta di pillola programmatica su come affrontare le vicissitudini della vita, per loro ancora colma di promesse nonostante siano state già duramente colpite negli affetti. La storia è ambientata nella Milano degli anni ’60, gli anni della gioventù per molti di noi, e che spesso si colorano di una tinta retrò colma di nostalgia. Nelle vicende narrate ritroviamo non solo i primi fermenti politici e sindacali, le conquiste civili di una società in piena trasformazione, ma anche il ritratto di una città che tira la volata del boom economico post-bellico dove fabbriche e uffici lavorano a pieno regime. Compaiono già i riti prossimi venturi della “Milano da bere”: aperitivi e pranzi in bar e locali alla moda, sedute dall’analista, passatempi di lusso e vela sui laghi, professionisti corrotti e prostitute d’alto bordo, musica e balli di nuovo ritmo e concezione, denaro da spendere senza pensieri.

The Menaced Assassin di René Magritte (1927)
The Museum of Modern Art – New York
http://www.moma.org/

In questo mondo scintillante e ottimista, però, si avverte la percezione di una corrosione sottile e diffusa, come fosse una lebbra sotto l’epidermide, che affiora di quando in quando tramite un gesto, un’occhiata, una frase, uno stile di vita: la cosiddetta nota stonata. Il mondo sta perdendo l’impulso ideale, sta già diventando pienamente mercantile, in una società dove tutto si vende e si compra più che mai; tutto sta già scivolando verso il vuoto e l’omologazione. Da questo male, diffuso e simile alla ruggine, scaturisce la soppressione della vittima: come sempre, in questi casi, l’anello debole della catena sociale, quello ingannato a causa della sua ingenuità, sfruttato, venduto e comprato.

Tuttavia, il romanzo non è solo una storia di impronta gialla o poliziesca di tutto rispetto, ma soprattutto un romanzo di relazioni, fittamente intessute e attentamente orchestrate. Una sorta di ragnatela dove i personaggi sono posti ai nodi dell’intreccio, in modo che tutti siano collegati tra loro e, quando uno di loro muove un filo, lo si senta ad un altro capo. E, per quella rete di relazioni, a delitto avvenuto, la ragnatela scuote i suoi fili, la vibrazione si comunica ad altri nodi e mette in allarme altri protagonisti. La storia può dunque partire e condurci per mano lungo una serie di capitoli brevi o brevissimi, introdotti da stralci di testi musicali che ne rispecchiano il contenuto. A livello narrativo, da segnalare l’ottimo equilibrio tra la parte descrittiva, sciolta, pulita, mai pesante, e i dialoghi che fanno da contrappunto, pronunciati da personaggi veri più del vero. Niente Panico è un romanzo che si legge d’un fiato, godibilissimo sotto molti punti di vista!

Per questa recensione, poi, ho potuto coinvolgere anche l’autrice, proponendole di rispondere ad alcune domande sotto forma di intervista scritta. Ecco a voi quanto Clementina mi ha raccontato di sé e del suo romanzo.

Come hai avuto l’idea della storia, e quanto tempo fa? L’idea di scrivere un romanzo è nata l’aprile scorso, nel momento in cui mi sono ritrovata ad non avere più un posto di lavoro fisso e stavo reinventandomi come free lance. Era un momento di grande trambusto soprattutto interiore, e in quella circostanza mi sono chiesta perché, visto che una delle mie competenze era ed è quella di stendere lunghi report di analisi dei risultati di indagini demoscopiche, non decidessi di scrivere per semplice piacere. 

Tra i tanti temi che mi “frullavano” per la testa c’era prima di tutto quello della costruzione dell’identità. Del resto, la mia stessa identità veniva messa in discussione! Dovevo, però, trovare un modo di affrontare l’argomento, assai complesso, in modo insolito e abbordabile, ma anche il meno possibile banale e pesante… insomma, una bella scommessa!

Che cosa ti attira degli anni ’60?
Fin dal principio, pensai di ambientare la storia negli anni della mia infanzia a Milano, la città dove sono nata e in cui ho vissuto per quarant’anni. Poi l’insight arrivò dalla lettura di un articolo su un settimanale di divulgazione scientifica che parlava del processo di riconoscimento attuato attraverso il DNA. Per correttezza verso chi non ha letto il romanzo, non posso svelare di più, tuttavia mi sento di dire che lo snodo della narrazione prende il via proprio da questo particolare. Quindi le parole chiave per la stesura di questo manoscritto erano: identità, crisi, rischio, opportunità, Milano, anni Sessanta.

Cominciai a documentarmi in modo approfondito su ogni tipo di avvenimento legato a quegli anni di grandissimo fermento: le lotte del movimento operaio, quelle del femminismo, la nascita del terrorismo, lo sbarco sulla Luna, nuovi valori, stili di vita e musica da Oltreoceano e da Oltralpe. Il mio obiettivo era trasferire al lettore anche il “sapore”, l’atmosfera di quegli anni, così rispolverai dalla memoria tutti i ricordi legati alla mia città, ma anche alla musica che ascoltavo in casa e con la quale sono cresciuta. Tutto ciò che racconto nel libro, al di là della storia poliziesca, è frutto in qualche modo anche di questi ricordi. La detective story è, invece, un espediente narrativo che ho utilizzato per accendere in me e in un potenziale pubblico mille riflessioni sulla costruzione dell’identità dell’individuo, per parlare delle maschere umane e via dicendo.

 Qual è il tuo rapporto con la Milano di allora e di oggi? 

Considero Milano la “mia” città, la amo tantissimo! È il luogo dove sono nata e dove ho vissuto fino a pochi anni fa. Da sempre, proprio per la sua capacità di magnetizzare ondate di immigrati, così come per la presenza dei suoi navigli, l’ho sempre vissuta come un grande porto da cui partire per esplorare nuovi mondi e dove poi ritornare. Un tempo, Milano era veramente capace di restituire la sensazione di respirare una cultura in fermento, con innumerevoli eventi costruiti ad hoc, nuovi edifici che trasformavano lo skyline metropolitano, mille occasioni d’incontro e confronto sui temi più disparati, artistici, letterari, … ma sempre contrassegnati da un’elevata qualità dell’offerta. Oggi, ormai da diversi anni, si è un po’spenta e anche il carattere dei milanesi ha assunto toni freddi, distanziati e distanzianti. Dal mio punto di vista, oggi Milano soffre molto. Usando una metafora, mi verrebbe da dire che si è passati da un registro accuditivo e di stampo materno, quasi oblativo, ad uno più normativo, rigido e di stampo paterno che, però ha sbilanciato ogni tipo di equilibrio. Tuttavia, confido in una sua ripresa!

La città che sale di Umberto Boccioni (1910), olio su tela
Museum of Modern Art, New York
http://www.moma.org/

 Che cosa è cambiato nella società in meglio e in peggio? 
A costo di apparire patetica e forse antipatica, un rischio terribile, direi che si sono affievoliti gli impeti più solidaristici e si è smorzato molto anche lo slancio pionieristico che contraddistingueva questa città. Ecco, bisogna dire che, da un certo punto di vista si sono visti dei sensibili miglioramenti: mi riferisco al superamento di quel clima di terrorismo che era arrivato al culmine negli anni Settanta disseminando il panico attraverso stragi e attività sovversive. Tuttavia la voglia di sperimentazione – nell’arte, nell’urbanistica, nell’architettura, nella cultura in generale – è, via, via, entrata in una fase di letargo. A Milano, più che altrove in Italia, c’è stata un’adesione ad un orientamento di pensiero che predilige l’individualismo sopra ogni cosa e ha prodotto un cinismo diffuso, così come l’incapacità di auto analizzarsi per poter crescere e progredire. In questo senso credo che la maggior parte della responsabilità ricada sui soggetti della mia generazione, quelli che oggi orbitano intorno ai quaranta e cinquant’anni.

Ciononostante, a Milano, soprattutto grazie alle nuove generazioni e alle donne, queste ultime in modo trasversale, si colgono dei segnali che vanno nella direzione opposta e si avverte un forte desiderio di rimettersi in gioco e, perché no, anche in discussione. Va detto che la società di allora era in procinto di entrare in una nuova epoca, l’eccitazione era palpabile a tutti i livelli e, nonostante i risvolti dolorosi, le speranze erano vive; oggi siamo di nuovo in crisi, ma nessuno è in grado di comprendere appieno quali pieghe prenderanno gli eventi e verso quale direzione andrà la nostra società. Tutto è molto più complesso soprattutto a causa della globalizzazione, così che le aspettative e i desiderati sembrano più nebulosi, ma anche più ovattati.

Come sono nati i personaggi, soprattutto le due gemelle?
Devo confessare che il mio sogno da bambina era diventare giornalista, anzi, per dirla tutta, sognavo di essere una cronista che girava a cavalcioni di una grande moto, rigorosamente senza casco e con le mie treccine oscillanti al vento! Fa ridere anche solo raccontarlo! Comunque, una delle gemelle, Stella, è nata da quest’idea. Mi serviva, però trovare un personaggio che risultasse complementare a Stella, quindi ho pensato di inventare una gemella che mi avrebbe permesso di sottolineare differenze e similitudini. L’obiettivo era, almeno in parte, di dare respiro al concetto di dualismo, oltre che di evidenziare le potenzialità del libero arbitrio.

A tutto questo aggiungo che la creazione di queste due protagoniste ha anche a che vedere con le mie riflessioni sul rapporto, non sempre lineare e nemmeno sempre eccellente, tra fratelli, ma sottolineo che non si tratta affatto di un romanzo autobiografico. Rispetto alla loro origine ebreo tedesca, per esempio, mi sono ispirata ad un’anziana coppia senza figli, miei vicini di casa di quei tempi ,che mi sono sempre rimasti nel cuore. Per il personaggio di Rebekka, la zia delle gemelle, invece, mi sono ispirata ad una carissima amica ed ex collega. Diciamo che ciascun personaggio del mio romanzo nasce dalla suggestione indotta da alcuni tratti personologici di soggetti con i quali sono in qualche modo entrata in contatto nell’arco della mia vita. 

Con questo romanzo sei anche arrivata in finale ad un concorso… raccontaci qualcosa di questa esperienza. 
Consigliata da un caro amico, avevo deciso di iscrivere Niente Panico ad un concorso dedicato ai “gialli”, per la precisione il concorso “Gran Giallo di Castel Brando”. Per una serie di circostanze, mi dimenticai completamente dell’avvenuta iscrizione, finché un giorno, con enorme sorpresa, mi ritrovai una email con la quale mi si avvisava che rientravo tra i finalisti e mi si invitava a partecipare alla serata di premiazione in un magnifico castello in Valdobbiadene. Proprio durante l’evento appresi, non solo di essere l’unica autrice donna ad essere insignita di un premio, con il quarto posto in classifica, ma addirittura che i vincitori che mi avevano preceduta fossero autori alla loro seconda, terza, quarta, esperienza, tutti rigorosamente con una casa editrice alle spalle! Beh, a me quel quarto posto è piaciuto un sacco!

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La presente recensione costituisce l’anteprima di una pubblicazione in uscita.