So che fremete dalla voglia e dalla curiosità di sapere chi erano gli autori e le autrici dei brani letterari proposti con il post XIX sullo stile di scrittura femminile e maschile. Stavolta ammetto di essere stata perfida, perché ho scelto brani privi di riferimenti e la cosa è stata voluta allo scopo di dimostrare la mia teoria: che se a scrivere è un’anima sensibile, questa si mostra al lettore nella sua ricchezza interiore e integrità – intesa come una e indivisibile, non tanto in senso morale: un  essere umano, quindi, e non solo un uomo o una donna.

Come avrete senza dubbio notato, tutti i brani presentati avevano un comune filo conduttore, e cioè una qualche forma di sofferenza – disperazione, ansietà, angoscia, senso del lutto – sentimenti che, forse più della gioia, riescono ad unire il mondo anziché a dividerlo.

Riprendo i brani proposti, seguiti dall’arcano svelato.

“Proprio in quel momentaneo volo tra la visione e la tela, era assalita dai demoni che spesso la riducevano al punto di piangere e rendevano il passaggio dalla concezione al lavoro spaventoso come la tenebra per un bambino. Spesso si sentiva così costretta a lottare contro terribili ineguaglianze, per non perdere coraggio; per dire: ‘Ma questo è ciò che vedo, che vedo’ e così stringere al seno qualche misero avanzo della sua visione, che mille forze tentavano in ogni modo di strapparle.”

Ritratto di giovane donna di Mary Cassatt (1898) .
Collezione privata

Questo è un brano tratto da “Gita al Faro” della grande Virginia Woolf (donna), nell’edizione Garzanti. Il romanzo è imperniato principalmente sul fluire del tempo e sugli effetti che questi ha su cose e persone.

Siamo al capitolo 4, quindi piuttosto all’inizio del romanzo. Davanti alla sua tela, la pittrice dilettante Lili Briscoe, amica di famiglia dei Ramsay, si dispera perché non riesce a tradurre come vorrebbe ciò che ha nel cuore, e soprattutto davanti allo sguardo. Si sente perciò inadeguata rispetto all’enormità del compito di riprodurre quella visione, fluttuante come la luce di una candela, con il poco talento che ha a sua disposizione. Anche lei, in altre parole, sperimenta il senso di scoraggiamento che prova qualsiasi artista che abbia un minimo di senso critico nei confronti della propria opera. Qui in parte, forse, siete stati aiutati o fuorviati dal personaggio, che è al femminile; fatto sta che la metà di voi ha indovinato il sesso di chi ha scritto.

“D’altra parte, tutti i vostri pensieri, tutti i semi gettati nell’anima altrui, pensieri e semi che potrete aver persino dimenticati, s’incarneranno e cresceranno; colui che li ricevette da voi li trasfonderà in un altro. E come potete sapere quale parte avrete nella futura soluzione dei destini umani?”

Autoritratto di Vincent van Gogh, 1887
http://www.artic.edu/

A parlare in questo modo febbrile è Ippolit, uno dei personaggi  dello scrittore russo Dostoevskij (uomo), che affollano il suo capolavoro “L’Idiota“, qui il Libro II dell’edizione Garzanti. Ippolit, un ragazzo malato, si sta lanciando in una lunga narrazione delle sue dolorose vicende personali. Egli espande comunque il suo sguardo su considerazioni più ampie, come a cerchi concentrici. In lui sussiste la consapevolezza che, qualsiasi traccia si lasci sulla terra, questa germinerà come una pianta buona o cattiva in chi ci succederà. Questo non gli impedisce di tormentare il prossimo, visto che la malattia lo ha reso crudele e capriccioso.

Il vero protagonista del romanzo è però il principe Myskin, cui tutti gli altri fanno in qualche modo da contraltare. Nelle intenzioni dell’autore, Myskin è il ritratto di un uomo assolutamente buono e, come tale, considerato dalla società un autentico idiota. Il suo sguardo abbraccia, lui disprezzato, lui epilettico, le sofferenze del singolo e dell’umanità intera, e in questo adombra la figura di Cristo irradiante grazia.

“… mi colpirebbero di più se non mi venisse fatto di chiedere a me stesso in che cosa la sofferenza dell’erba falciata differisca essenzialmente da quella di un montone sgozzato, e se l’orrore che proviamo nel vedere trucidare un animale non dipenda soprattutto dal fatto che la nostra sensibilità appartiene al medesimo regno.”


Chi pronuncia queste parole, antiche e moderne insieme? Ma certo, l’imperatore romano Adriano, in “Memorie di 

Busto dell’imperatore Adriano, 
Alinari – Galleria degli Uffizi, Firenze
http://www.polomuseale.firenze.it/musei/?m=uffizi

Adriano“, della scrittrice franco-belga Marguerite Yourcenar (donna), edizione Einaudi. L’imperatore narra in prima persona, tramite una lunghissima lettera, la storia della sua esistenza pubblica e privata, delle sue campagne militari, del suo amore nei confronti della poesia, della musica e della filosofia, della sua passione verso il giovanissimo Antinoo.

Il dato straordinario di questo romanzo è duplice: la capacità di immedesimazione dell’autrice in un un uomo, resa con la difficile tecnica della prima persona, e per giunta di un uomo che si suppone nato nel 76 d.C., quindi fate un po’ voi i conti! 
Se poi l’imperatore fu proprio così come lo fa parlare la scrittrice, non ci è dato sapere. Ma uno dei più bei vantaggi che ha il romanziere, in questo caso, è la mancanza di documenti o testimonianze di prima mano, e quindi può lavorare sui coni d’ombra della Storia, immaginando ed elevando il suo personaggio quasi ad un archetipo.

“Tuttavia, per quanto mi sforzassi di dimenticare, dentro di me restava qualcosa, una specie di grumo d’aria non meglio precisato. Poi, col passare del tempo, quel qualcosa cominciò a prendere una forma più chiara e definita. Così chiara che posso anche tradurla in parole. Le seguenti: La Morte non è l’Opposto della Vita, Ma una Sua Parte Integrante. Tradotto in parole suona piuttosto banale, ma allora non era così che lo percepivo, ma come un grumo d’aria presente dentro di me. La morte era parte di quel fermacarte, parte indissolubile delle quattro palline bianche e rosse allineate sul tavolo di biliardo. E sentivo che noi vivevamo inspirandola nei polmoni come una finissima polvere.”

Birchforest I 1903 di Gustav Klimt,
Klimt Museum, Vienna
http://www.klimt.com/

E questo è lo scrittore giapponese nostro contemporaneo, Murakami Haruki, in “Norwegian Wood” (uomo), edizione Einaudi, un romanzo che ho letto di recente e che mi ha commossa e conquistata come non mi accadeva da tempo. Si tratta di una delicatissima storia d’iniziazione all’amore, alla vita e alla sessualità da parte di un gruppo di giovani, anche se questa definizione non esaurisce per nulla il senso del romanzo.

A parlare qui è l’adolescente Watanabe, colpito dalla morte del suo unico amico. L’ultimo ricordo che ha di lui è una partita a biliardo giocata insieme (da qui la menzione delle palline bianche e rosse); e quello che prima gli sembrava come una realtà distante, un regno lontano e ben separato, quello della morte, si rivela molto più vicino, e intride addirittura l’esistenza momento per momento.

Mi auguro che questo esperimento si sia rivelato non solo divertente, ma che vi abbia fornito anche dei nuovi stimoli per incrementare le vostre riflessioni personali su che cosa significhi avere “una scrittura femminile” o “maschile”, cosa non così scontata come potrebbe sembrare. A presto!