Un giorno, mentre Federico gioca coi cani, Bianca siede con la balia sotto il pergolato della villa. Entrambe ricamano tranquille, anche se lo sguardo della madre si solleva spesso verso Firenze, quasi ad assicurarsi, in virtù di un miracoloso intuito, che il giovane frate visto in San Lorenzo sia ancora là, nella cerchia delle mura fiorentine. A volte si chiede, invece, se il sole nero della peste non sia già sorto in città, e se quella stessa cerchia di mura, pochi istanti prima così protettiva, non si stia serrando per stritolare i primi agonizzanti.
Lo scalpitio di un cavallo frantuma i suoi pensieri. In fondo al sentiero, cavallo e cavaliere, irriconoscibili per la lontananza, galoppano verso la casa. Bianca sente i battiti del suo cuore farsi incalzanti e fondi: con la stessa spaventosità di un cavaliere dell’Apocalisse, Guido sta venendo da lei, immutato, muovendo il braccio e frustando il cavallo come nel giorno lontano del palio, ed un coro di voci ormai affievolito ascende possente, un fiume ridotto ad un rivolo sale, tempestoso travolgente, in un solo attimo, nella cecità d’una notte, fatta di poche stelle e d’una luna irreale, esplode la luce d’un sole terribile.
A pochi passi da lei, il cavaliere frena la cavalcatura e la sua figura, aureolata dai raggi del sole alle spalle, si rende uguale ad una effigie sacra. Dopo qualche passo, essa si libera da quella momentanea trasfigurazione, e Bianca riconosce suo cognato.”
Aggiunge la Donna dell’affresco: “Il pericolo della peste s’era allontanato, ma v’era stato un tentativo, da parte dell’esiliato Piero de’ Medici e di altri congiurati, di riconquistare Firenze e sottrarla al dominio del Frate. Il tentativo era fallito e i nomi dei congiurati erano stati scoperti. Cinque teste erano cadute. Era tempo, per me, di ritornare.”
“Un bambino biancovestito canta in Santa Maria del Fiore: la sua voce s’alza, sottile, e brilla nella penombra con la purezza di un filo d’argento. Il Profeta Savonarola, seduto accanto all’altare, ascolta in raccoglimento, con gli occhi chiusi, la mano destra abbandonata nelle pieghe del saio, simile ad un uccello ferito. Intimorito dal volto magro del Frate e da un silenzio a cui non è abituato, il bambino d’improvviso assottiglia la voce… essa si fa tremolante… ma riprende vigore e grazia non appena il piccolo cantore scorge, nella folla dei fedeli, i lineamenti familiari della madre.
Monumento equestre di Giovanni Acuto
di Paolo Uccello (1436) – dettaglio –
Cattedrale di Santa Maria del Fiore – Firenze
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Il giovane frate Filippo, nel gruppo dei domenicani alle spalle del Profeta, guarda il bambino cantare. A tratti quella figura immobile, statua di marmo bianco e nero, tradisce in un moto altero del mento un’emozione crescente, che intende dissipare con quel gesto. A volte, invece, l’uomo socchiude gli occhi, quasi a voler filtrare nello sguardo la bianca figuretta del bambino, con lo stesso rancore con cui la vide, neonata, riposare tra le braccia della madre.”
La voce della Donna s’interrompe ancora, prosegue, strozzata: “D’un tratto, il mio occhio s’era posato sull’affresco di Giovanni Acuto, lo stesso che tu, ancora oggi, puoi vedere sulla parete di Santa Maria del Fiore: il condottiero si stagliava di profilo, ritto sul suo cavallo, ed i finimenti e il bastone del comando erano diventati d’un rosso sanguinante nel candore dell’affresco. Egli guardava dritto davanti a sé, col suo ghigno beffardo, e pareva deriderci tutti: dal suo fondale, aveva dato uno sguardo a ciò che ci aspettava, me, mio figlio, il Profeta, i domenicani alle sue spalle, e rideva.”