San Domenico, Beato Angelico (dettaglio del Cristo Deriso) – Cappella del convento domenicano di San Marco, Firenze |
Il ritorno
“È il 1497. Nella città dove la grande cupola appare e scompare fra nuvole che paiono d’incenso, dove il fiume scorre, pallido, sotto i ponti, e dove le taverne, prive di canzoni e di giochi, sono diventate austere come conventi, una luna mistica campeggia in un cielo notturno.
Tuttavia, nella solenne profondità di San Marco, i frati domenicani – d’un bianco lunare il loro saio, d’un nero notturno il loro scapolare – siedono nel coro col cappuccio alzato e attendono, immobili, l’alba che sta per sorgere. L’oscurità che, dal pavimento e sotto le volte, si è addensata fino a rendere la chiesa simile ad una grotta, si va già dissolvendo; sull’altare le candele, che hanno bucato le tenebre con accecante splendore, ardono fiocamente nei loro laghi di cera.
Ma solo quando le stelle, dietro le vetrate, iniziano a tramontare, nel silenzio s’ode nascere un canto: pare sorgere dalle fondamenta della chiesa stessa, con timbro monocorde, mentre nella vetrata dell’altar maggiore va nascendo un chiarore colmo d’una palpitazione lieve, volta a far trascolorare il cielo notturno… Il canto subisce un arresto, si spegne… per risorgere subito, pieno e possente; ed il chiarore della vetrata si fa distinto, eppure sosta ancora, indeciso se manifestarsi appieno o dividere la sua presenza con la notte. Il canto allora fluttua nell’aria, si disperde… infine s’alza, sale, sale nella certezza dell’alba ormai prossima; e, goccia d’acqua in una polla limpidissima, s’apre in argentei cerchi ai piedi del trono di Dio.
In quell’istante, il primo raggio di sole cade dalla vetrata, accende l’aria bruna della notte.
Le vetrate compagne s’illuminano e, ripetendo e moltiplicando il prodigio, investono la chiesa d’uno sfolgorio abbagliante e gioioso.
Come chiamati da quei magici tocchi di luce, anche i volti misteriosi dei frati, fino a pochi istanti prima nascosti dall’ombra del cappuccio, s’illuminano, ed il volto di frate Filippo – colui che un tempo fu Guido – appare, con gli occhi chiusi in preghiera, nell’intensità della nuova fiamma che lo arde.
Dal giardino sale il profumo della magnolia fiorita: accesi dal crepuscolo morente, i fiori riverberano di un’ultima, sanguinosa bellezza, prima di divenire preda dell’oscurità.
Nella sala da pranzo, Bianca guarda, muta, il crepuscolo calare, e con la mano accarezza i capelli di suo figlio, che dorme con la testa appoggiata in grembo.
Quella mattina ella si era recata in San Lorenzo, per pregare in memoria del marito. Le finestre della chiesa, riflettendo il sole ormai sorto, proiettavano sottili, incrociati fasci di luce all’interno, simile al sartiame di una nave mistica. Lo stesso edificio pareva navigare su correnti invisibili, mosso dall’alitare di un vento misterioso che, a tratti, lo faceva ondeggiare. Al passaggio di Bianca, fumiganti candele avevano rabbrividito davanti ad effigi di santi, poco più in là un raggio di sole si era dissolto e ricomposto.
San Domenico e Santa Caterina, pannello dipinto, 14mo secolo Università di Cambridge, Facoltà d’Inglese http://www.english.cam.ac.uk/medieval/zoom.php?id=137 |
Ella si era arrestata: investito e trasfigurato da quel raggio di sole, davanti a lei era fermo un giovane domenicano. Bianca non l’aveva riconosciuto finché i suoi occhi scuri non avevano incontrato quelli chiari, gelidi, del frate, ed una subitanea trafittura aveva attraversato il suo cuore. Poi, quel dolore acuto s’era fatto greve, ed era sprofondato in lei come un sasso nelle acque ferme di uno stagno. Le acque d’un antico moto dell’anima erano salito e traboccate, e s’erano frante contro la figura immobile del frate, scisse dalle tinte opposte del saio e dello scapolare.
Il domenicano aveva distolto per primo lo sguardo e, senza proferir parola, aveva ripreso il suo incedere lungo le cappelle, apparendo e sparendo fra i raggi incrociati di luce, figura accecante quando il bianco del suo saio entrava nella danza del pulviscolo dorato, oscura quando il nero dello scapolare s’accompagnava all’ombra. Il rumore dei suoi passi s’era perso in lontananza, dissolto nello svaporare d’un silenzio assoluto.
Bianca ora è sola, col fanciullo addormentato, ad ascoltare la brezza nascere e morire fra gli alberi del giardino, mentre la sua anima, contro un cielo incendiato, percorre vertiginosamente nove anni di silenzio.