Se prendo un qualsiasi dizionario, e vado a cercare il termine dialogo, troverò una definizione molto simile alla seguente, tratta da Wikipedia: il dialogo (dal greco dià, “attraverso” e logos, “discorso”) indica il confronto verbale tra due o più persone, mezzo utile per esprimere sentimenti diversi e discutere idee contrapposte.
Ma che cos’è veramente e a che cosa serve il dialogo in un romanzo, e soprattutto che differenze ci sono tra la comunicazione orale che possiamo ascoltare ogni giorno, e quella che riverseremo sulle pagine della nostra storia?
“Camera degli Sposi“, palazzo Ducale di Mantova, Andrea Mantegna (1465-1474) dettaglio del marchese Ludovico Gonzaga mentre parla con un suo servitore. |
Il dialogo tra due o più personaggi non è la riproduzione fedele del linguaggio colloquiale che usiamo ogni giorno, perché se provassimo a riversarlo tale e quale sulla carta, otterremmo un guazzabuglio di frasi con frequenti pause di sospensione, magari dalla grammatica non proprio corretta, o punteggiato da espressioni gergali; o ancora, se uno dei due personaggi ha il raffreddore, da starnuti o da colpi di tosse. Sarebbe come udire una registrazione su nastro che un bravo tecnico del suono deve innanzitutto ripulire da imperfezioni e fruscii, dopodiché lo passerà all’altrettanto bravo montaggista che eliminerà tutti i passaggi superflui della conversazione per tenere solamente le parti migliori. Ogni dialogo ha un cuore, un nucleo, come una pepita d’oro all’interno di una roccia. Lo scrittore deve cogliere questo nucleo, lavorarci sopra, liberarlo dalle incrostazioni inutili e offrirlo al lettore trasformato in un gioiello prezioso.
Il dialogo è poi quella parte del tessuto narrativo indispensabile per tenere desta l’attenzione del lettore, che istintivamente si alzerà di una spanna non appena adocchierà la famigerata doppia o semplice virgoletta di apertura di una frase pronunciata in forma diretta, o dall’altrettanto famigerato trattino. Il lettore infatti ha la percezione, vera o falsa che sia, che dietro qualsiasi descrizione ci sia la presenza ingombrante dello scrittore, e che a parlare nei dialoghi siano i personaggi tout court, che si esprimono in piena autonomia. Con il dialogo la narrazione assume un ritmo più vivace e incalzante, specie se lo scrittore ne ha piena padronanza.
Ecco qualche consiglio per ottenere dialoghi significativi:
– sfrondare le frasi di tutto il superfluo, rendendo ogni informazione all’interno altamente incisiva, proprio come se fosse Il Decalogo scolpito su pietra e consegnato a Mosè!
Lo scrittore presenta il “dialogo” ai suoi atterriti lettori… |
– mantenere un tono brioso e naturale in modo che lo scambio di battute continui a dare al lettore una sensazione di realismo, anche aggiungendo espressioni gergali o particolari di un’etnia o una cultura se occorre;
– fornire a ciascun personaggio una voce sua caratteristica, per connotarlo in modo inconfondibile, e questo si ottiene solo calandosi nella mente dei personaggi. Perlomeno, bisognerebbe dare al lettore tutti gli strumenti per capire chi sta parlando. (Non c’è niente che mi irriti di più, come lettore, nel non capire chi sta parlando in un dialogo o dover sforzarmi per capirlo.)
Nel prossimo post, che pubblicherò a brevissimo, prenderò in considerazione un brano letterario tratto da “Cicatrici” dell’argentino Saer, dove saranno esaminati incipit, descrizione ambientale e dialogo.