La storia

“È il 1486. Nella città dove la rossa cupola s’inarca alta nel cielo, dove il fiume si snoda pigro o sale, cieco di furore, ad annegare le case, dove i conventi si affiancano alle case dei mercanti, un giovane giunge con il fiorire d’una primavera mitologica. Al suo passaggio, accensioni di luce straordinarie, seguite da subitanee irrorazioni di colori, si propagano tra fiori ed erbe. Gli uccelli, liberati dal mutismo invernale, riempiono gli alberi di canti, si rispondono dai giardini vicini. 

Windflowers” di John William Waterhouse
(1903) – Private Collection
Pur non sapendolo, quel giovane va incontro ad una donna di nome Bianca. Molti anni prima, era stata una bambina dai capelli neri, lunghi fino alla cintola, ed aveva giocato sotto lo sguardo della nutrice; poi, fanciulla, accanto al suo precettore, aveva ragionato di filosofia; in seguito, giovinetta, aveva letto i suoi amati poemi in solitudine, interrompendo la lettura per smarrire il pensiero altrove. Oggi il giovane chiamato Guido incontrerà la sposa di Bernardo, sorella ancora, negli affetti, di colei che trovava l’amore nelle pagine dei libri. 
In quel momento anch’ella, inconsapevole, sta compiendo la lenta traversata del suo giardino. La donna si ferma accanto alla fontana, con le dita ne sfiora l’acqua, la apre in argentei cerchi concentrici (petali, pensa, d’uno strano fiore). Quando si sente chiamare da Bernardo, solleva leggermente la veste e sale i pochi gradini che la conducono in casa. Dietro di lei la luce primaverile, correndo come fuoco in una sterpaglia, sta avvolgendo il giardino d’un terrificante, doloroso splendore.

* * *

A tavola, Bianca ascolta sorridendo dialoghi intrecciati come fili d’oro, motti di spirito saltellanti e rutilanti, dissertazioni solide e preziose, e getta qua una frase, là una facezia. Mentre il gaio conversare degli ospiti le giunge tra l’avvicendarsi delle portate – delta di un fiume dalle molte diramazioni – e la nota dominante è la voce di Bernardo, il suo occhio bruno, dopo aver superato i fiori primaverili che adornano la tavola, le coppe dorate, rosseggianti di vino, le composizioni di carne, appetitose e teatrali, e le teste irrequiete dei commensali, arriva, laggiù, in fondo alla tavolata, al profilo assorto d’uno sconosciuto. Quel giovane, durante tutta la serata, ha mangiato chiuso in un silenzio severo, bizzarro nella vivacità che lo circonda, immobile come una pietra fra i mulinelli vorticosi della corrente. Solo quando la voce di Bianca ha animato la tavolata, egli ha volto verso di lei occhi d’un azzurro intenso, quasi annidati in un’ombra di minaccia.


Dopo cena, Bianca è solita appoggiare le dita al clavicembalo e trarne suoni cristallini. Quella sera, invece, con un gesto invita il nuovo ospite ad una partita a scacchi. Il giovane ha un trasalimento, spaventato dall’offerta inattesa, ma accetta di buon grado la partita.

Ritratto di Bindo Altoviti – Raffaello (ca. 1515)
National Gallery of Art – Washington D.C
http://www.nga.gov/

Durante il gioco, egli non pronuncia quasi parola. Alla luce del fuoco, acceso a rischiarare la sala, i suoi capelli brillano quasi fossero fili d’oro puro, mentre il viso, colpito di striscio dalla luce, sprofonda per metà nell’ombra. Come i pezzi degli scacchi, anche i suoi lineamenti alternano dolcezze infantili a più virili spigolosità. 

Ma i suoi occhi, paragonati alle piccole, morte pupille di legno dell’alfiere che avanza a dare lo scacco finale, brillano di viva intelligenza.