L’autunno va vestendo d’oro Firenze. La radiosa luce dell’estate declina e nel giardino gli alberi, colpiti da folate di vento, s’accendono e si spengono in vividi roghi di fiamme trasparenti.
Bianca ha trovato i versi, trascritti su un foglio di carta, nel cassetto dello scrittorio ch’ella apre, ogni mattina, per attendere alla corrispondenza. Fra le mani, il foglio di carta si è aperto sprigionando un veleno soave: ogni strofa è scesa in lei con un lento tuffo, ha diviso le acque d’un mare profondo.
“Donna che legge una lettera” di Pieter de Hooch (1664)
Szépmûvészeti Múzeum, Budapest
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La mano di Bianca si è fermata, poi è salita lenta, a mezz’aria: un cenno di saluto all’uomo che se ne andava, uno di resa a colui che sarebbe venuto.
Ora, dalla coltre delle foglie sale uno stordente profumo di dissoluzione, con l’intensità dell’incenso che ascende da un altare. Sul cimitero di terra e foglie, ella passeggia, stordita dalla sua passione e da quell’odore di morte.
Fuori dalla finestra l’inverno, dopo aver reso l’aria tagliente con la sua ruvida carezza, si svela nella lenta discesa della prima neve. Nella sua camera, Bianca rivolge lo sguardo all’oscurità punteggiata di chiarori, mentre le ragazze, muovendo su di lei le mani come bianche farfalle, la preparano per la notte. Una di loro scosta il lenzuolo del talamo, un’altra ravviva il fuoco nel caminetto, quasi a voler acconciare la camera per una nuova notte di nozze. Ella, infine, si ritrova sola davanti allo specchio.
In esso Bianca rivede la grande sala da pranzo, dove poche ore prima il fuoco, con la sua luce, ha liberato dall’immobilità le figure degli arazzi, ha dato vita agli intrecci floreali nei tappeti. A tavola, il suo gioco si fa più intenso: si accende di cristallo in cristallo, corre sui ricami degli abiti, inonda l’argento dei piatti.
In quel trionfo di colori e di aromi, gli occhi di Guido e Bianca si cercano, s’incendiano. Di colpo, i due giovani si ritrovano soli, l’uno di fronte all’altra. Le loro anime si congiungono in un amplesso totale, inebriante, il canto supremo di un essere ricomposto ad unità. Poi, attraverso la nebbia che li isola, cominciano a trapelare suoni lontani: il parlottio degli invitati, il tintinnio delle posate, gli accordi dei liuti. Bianca distoglie allora lo sguardo, esausta, e a sua volta Guido la lascia. Con la violenza di un fiume in piena, ritornano i rumori del mondo esiliato. Bianca prende allora una coppa di vino, vi immerge le labbra, sorride, e i suoi occhi ritornano a sollevarsi, ancora e sempre, verso Guido.
“Donna allo specchio” di Tiziano Vecellio (1512-1515) – Museo del Louvre – http://www.louvre.fr/ |
Quasi sia un magico richiamo, Bianca passa ancora una volta il pettine nei capelli: una figura si delinea alle sue spalle.