Un luogo in cui non sembra nemmeno di trovarsi a Milano, per il verde di cui è circondato e per il silenzio di cui gode. Villa Necchi Campiglio ci riporta ad  un periodo storico italiano, quello del ventennio fascista, che sembra lontano, ma in verità è appena dietro le nostre spalle. Fu costruita tra il 1932 e il 1935 dall’architetto Piero Portaluppi per la famiglia degli imprenditori milanesi Campiglio. Il nucleo familiare era composto da Angelo Campiglio, sua moglie Gigina Necchi (vi ricorda qualcosa questo cognome? è il marchio delle macchine per cucire Necchi) e dalla cognata Edda. Aggirandosi per gli ampi locali, dalle pareti foderate di palissandro e radica, camminando sopra tappeti consunti, ammirando quadri e soprammobili preziosi, lampadari a gocce, cineserie e caminetti di marmo, si respira un’aria d’altri tempi, fatta di un solido benessere conquistato con l’operosità, ma anche di interesse e gusto per l’arredamento e per l’arte moderna, prova di una famiglia davvero al passo con i tempi.

Parte del salotto arredato
con mobili in stile Luigi XV.

La veranda ospita il prezioso tavolo in lapislazzoli,
e tutt’attorno alle finestre è allestita una serra per le piante.
Colpo d’occhio sulla biblioteca.
Uno scorcio della camera matrimoniale
dei padroni di casa.

Ci si può anche immaginare sul set di un film degli anni ’30, come “Sanguepazzo” di Marco Tullio Giordana, che narra la storia di una coppia di attori molto in auge all’epoca fascista, Osvaldo Valenti e Luisa Ferida. Del resto, la villa fu davvero occupata, prima dal gerarca Pavolini e poi dal comando alleato, per poi essere riconsegnata ai proprietari, sfollati durante la guerra. Un elemento commovente, che ci riporta alle vicende tragiche di un’altra figura dell’epoca: la camera da letto degli ospiti, detta “camera del principe”, era riservata a Enrico d’Assia, uno dei figli di Mafalda di Savoia, la quale morirà nel lager di Buchenwald e che prima di morire disse: “Italiani, io muoio, ricordatevi di me non come di una principessa, ma come di una vostra sorella italiana.”

Dal 2008 la Villa è proprietà del FAI, essendo i proprietari morti senza discendenza. Dopo un attento restauro, è stata poi  inserita nel circuito di quattro case museo milanesi ed ora è aperta al pubblico durante tutto l’anno. Vale davvero la pena di visitarla, se passate a Milano e avete magari già visto i monumenti principali di questa città riservata, che va conosciuta e scoperta poco per volta!
(http://www.casemuseomilano.it/it/casamuseo.php?ID=3).

Nel giardino, una mostra di primavera del FAI è stata rallegrata
da coloratissime composizioni di agrumi…
… fra cui specie stranissime come “la mano di Budda”!