Memorie
di una cagna
 
di Francesca
Petrizzo
è un romanzo sconvolgente a partire dal titolo, che è come un pugno
sferrato nello stomaco. Ma non solo. L’autrice ha solo diciannove anni, ed è la
prima volta che leggo una prosa così levigata e nello stesso tempo così matura
da parte di una ragazza di quest’età. Non perché i giovani non siano capaci di
sentimenti profondi, beninteso, ma perché certe amarezze, certe esperienze,
certe forme di repulsione, devono essere vissute sulla propria pelle per essere espresse
con la capacità d’immedesimazione di Francesca. Per questo la sua prosa è tanto
stupefacente. Il romanzo narra le vicende di Elena di Troia, la donna
bellissima che, a causa della sua fuga d’amore con Paride, scatenò la celebre
guerra cantata dal poeta cieco Omero. Solo che, stavolta, la racconta lei, in
prima persona, a ristabilire la sua verità. L’incipit, leggibile anche sulla
quarta, ci introduce immediatamente nel vivo del romanzo: “La cagna. Così mi chiamano gli
uomini dell’equipaggio. La cagna. Lo fanno di nascosto. Ma io li sento. Il mio
nome è Elena, sono nata a Sparta, ma me ne andai per amore. Dicevano che ero la
donna più bella del mondo. Del poco che ho avuto, del molto che ho perso, già
gli aedi fanno racconti. Racconti bugiardi. Loro non c’erano, del resto. Io sì
.”

Copertina del romanzo
Fin dalla sua infanzia, comprendiamo che è Elena è una bambina assetata
d’amore, ma irrimediabilmente sola, prigioniera di una corte che di volta in
volta la protegge – malamente – dalle brame degli uomini, o la espone come
merce in vendita, con un padre regale e distratto, e una madre che vede in lei
solamente il riflesso di se stessa. Elena ha una sorella feroce come un lupo e
che la odia, Clitemnestra. Due fratelli, Castore e Polluce, uniti in un legame
quasi incestuoso. In tutto il romanzo scorre una bramosia maschile ora
trattenuta e sottotraccia, ora liberata in maniera bestiale, che fa di Elena,
sempre, una vittima sacrificale. Le donne all’epoca erano oggetti di scambio, e
ancora oggi lo sono in moltissime zone arretrate del mondo. Elena è passata
alla Storia esattamente in questo senso: come una creatura ceduta, rapita e
scambiata, un essere al femminile il cui unico merito, se così si può dire, era
di possedere una bellezza straordinaria, derivatale dagli dei. Una donna la cui
volontà e voce erano inesistenti. Come i milioni, i miliardi di donne che sono
trasmigrate sulla terra, hanno sofferto, amato, lavorato, si sono sposate o
dovute sposare, hanno partorito figli, e sono morte senza avere mai potuto
esprimere che cosa volessero veramente. Nessuna di loro ha mai potuto
scegliere, o perlomeno dar vita ai suoi sogni. 
Marguerite Yourcenar,
nel suo discorso per l’ammissione a l’Académie Française, le ha ricordate.
Anche Francesca Petrizzo lo fa, nel suo romanzo, grazie alla sua prosa,
cesellata come se avesse usato il bulino, tanto che ogni riga sembra un
miracolo. Anche nel delineare i personaggi l’autrice è sempre sorprendente,
così leggiamo di Achille, un giovane privo delle sue ire incontrollate, con
“gli occhi cangianti dal verde all’azzurro, insostenibili”,
attraversati dalla follia. Che l’ammira e la ama come se fossero eguali. O la
descrizione di certi paesaggi aspri e selvaggi accanto a Sparta, dove
“L’ultima, vaga corona di rossa fiamma incorniciò la sagoma sbocconcellata
dei monti prima di sparire del tutto,” o il fiume Eurota dalle acque aspre
e ghiacciate, presso la reggia. E, naturalmente, la città di Troia, seconda patria della fuggitiva Elena.

Elena e Paride. Faccia A di un cratere a campana apulo a figure rosse (Taranto?), 380–370 AC. Museo del Louvre, Parigi http://www.louvre.fr

Di tutto, però, la nota di sottofondo più straziante è quella di un
misterioso “fantasma” che si aggira tra gli ulivi accanto alla
reggia, e nella sua memoria. Che cosa possiamo dire di più, se non invitare il
lettore a leggere il romanzo per scoprire chi sia questo fantasma? Buona
lettura, dunque.