Saronno è un luogo nascosto e
poco conosciuto dai distratti milanesi; eppure contiene un edificio magico, il Santuario
dedicato alla Vergine dei Miracoli: uno scrigno d’arte così ricco da essere
stato soprannominato la Cappella Sistina della Lombardia. Nella chiesa è la cupola affrescata da Gaudenzio Ferrari con
gli angeli musicanti. All’ombra delle loro ali turbinose eppure ordinate in quattro cerchi concentrici, si narra che uno
dei maggiori esponenti del Chiarismo lombardo, Francesco De Rocchi, si
addormentò bambino, catturato dal loro fascino. Che il racconto sia vero o
meno, forse da quel sonno-veglia nacquero i suoi angeli, filiformi come steli
d’erba o canne svuotate, con luminescenze di preziosa madreperla. E anche noi,
ai piedi della cupola, siamo attirati da quel turbine di ali, vesti colorate, lunghe chiome fluttuanti, aureole, viole, flauti, lire da braccio, ribeche, e strumenti dell’epoca che
conosciamo solo in virtù di quell’affresco. Un turbine che ci risucchia e ci
conduce verso l’alto, verso la figura di Dio padre aureolata di raggi che diventa
il perno di tutto quel movimento circolare di corpi senza-corpo e di colori: il
direttore d’orchestra dell’armonia celeste.
Concerto degli Angeli, cupola del
Santuario di Saronno – Gaudenzio Ferrari (1535-1545) |
A pochi passi dal Santuario, è Il Chiostro, una galleria di arte
contemporanea che ospita, durante tutto l’anno, mostre assai interessanti
(http://www.ilchiostroarte.it). Una caffetteria accoglie il visitatore con l’aroma dei
suoi caffè e delle sue torte, mentre i locali attigui ospitano le opere degli
artisti e le varie iniziative. La mostra “Al di là della pittura?” a cura di
Angela Madesani, su Eelco Brand, Pierpaolo Curti e Andrea Facco, è stata la
prima ad aprire la stagione. Osservando le opere di Pierpaolo Curti (www.pierpaolocurti.com) ho ravvisato un curioso motivo conduttore,
forse facendo un accostamento ardito, con la vertigine ascensionale della
cupola del santuario saronnese, solo in senso contrario. Le opere di questo
artista dalle rigorose geometrie, dalle tinte sobrie e solitamente fredde, dal
segno fatto di contorni netti, ci presentano ponti senza parapetto, scale che
approdano nel nulla, passerelle che non conducono da nessuna parte. Nelle sue
tele è come se ci sentissimo afferrare,
solo che precipitiamo in basso. Ci manca il terreno sotto i piedi, come se,
scendendo lungo una scala, e convinti di trovare sotto di noi un gradino, il
piede cada nel vuoto e “perda un battito” quasi fosse un cuore. Non ci sono
figure umane, nella pittura di Curti, solo paesaggi assoluti e impraticabili
dove possiamo riconoscere, forse, tratti del nostro medesimo cammino.
2011 “red circle” 70×70 |
2010 “jump” 200×20 |
Ehi,
ho letto un po' di post. Ma tu l'arte pittorica ce l'hai proprio dentro, eh!
Ciao Enzo, grazie per il commento! Hai ragione, e quello che è più strabiliante è che mi sto appassionando all'arte contemporanea.